la Repubblica, 28 dicembre 2022
Rosi in presa diretta
«Ho sempre considerato il mio cinema come la tauromachia», annotava Francesco Rosi durante la preparazione di Cadaveri eccellenti.
«Esporsi in un combattimento serrato con la realtà, mettere in gioco ogni volta le proprie posizioni intellettuali...». In un 2022 strapieno di anniversari (Pasolini, Lizzani, Gassman, Tognazzi, Damiani, Salce), il centenario di Rosi ha rischiato di passare un po’ sottotraccia. La pubblicazione dei suoi Diari, curati da Maria Procino per La nave di Teseo, è un importante omaggio che restituisce la giusta attenzione al regista napoletano, nato il 15 novembre 1922 e scomparso il 10 gennaio 2015.
Il recupero documentale è in realtà un’attenta selezione fra brani contenuti dentro quaderni, agendine etaccuini, scelti puntando sul nucleo più importante e riconosciuto della sua produzione, fra 1961 e 1984, dopo i primissimi La sfida eI magliari e prima dei meno interessanti Cronaca di una morte annunciata, Dimenticare Palermo eLa tregua, e saltando in mezzo episodi più “eccentrici” come Il momento della verità e
C’era una volta.
Arricchita dalle riproduzioni di alcune pagine, con appunti autografi e bozzetti d’inquadrature, la silloge procede accumulando brani disomogenei per contenuto e quindi anche per stile. Le pagine relative a Salvatore Giuliano («ma chi era Giuliano? Non occorre saperlo meglio?») si concentrano sulla fase dei sopralluoghi, fra Partinico, Montelepre, Favara e altri centri del palermitano, a visitare la tomba del bandito e cominciare a immaginare inquadrature e sequenze; diLe mani sulla città(«qual’è il senso della grande speculazione?») è presente una scaletta, un elenco dei protagonisti, e considerazioni sparse; il capitolo suUomini contro («il racconto di alcuni mesi di una guerra già iniziata e che poi continua») contiene un vero breve diario della lavorazione sul set, mentre Il caso Mattei («il dramma di un uomo che agisce da pioniere») è ripercorso con materiali che vannodal resoconto dei sopralluoghi in giro per il mondo a stralci di revisione per la sceneggiatura fino a un breve scritto del 2006. Su Lucky Luciano(«una inchiesta, ma non una inchiesta di polizia o giudiziaria»), Cristo si è fermato a Eboli («un film difficilissimo e faticosissimo») e Tre fratelli(«una tela di ragno nella quale intrappolare la mosca che è lo spettatore») prevalgono riflessioni più ampie sulla natura del progetto; sul film-opera Carmen, un unicum nella filmografia di Rosi («ritirarsi da una sfida, mai!»), sono infine messi insieme pagine diaristiche, considerazioni sul film in incubazione e pensieri sul cinema in generale.
Il risultato è una raccolta disorganica e sorprendente, dentro il laboratorio mentale di un intellettuale che si sforza ogni volta di piegare l’immaginazione dentro schemi razionali, coniugando un contenuto ben leggibile con l’aspirazione allo spettacolo, sempre con enorme lucidità. Come suggerisce Giuseppe Tornatore nella prefazione, «essere razionali a tutti i costi è la chiave di volta per comprendere la prospettiva civile di Francesco Rosi uomo e cineasta». Questo continuo richiamo alla “ragione” è quello che, ancora più del conclamato “cinema civile”, caratterizza la persona e l’artista.Una conseguenza è che in questiDiarisono pochi i momenti privati relativi ai sentimenti del creatore, che siano di gioia o di sconforto; Rosi non si lascia mai andare, tiene sempre il timone con saldezza, anche nei momenti più bui, come la scomparsa di Mauro De Mauro, rapito e mai più ritrovato, durante la lavorazione del Caso Mattei a cui collaborava come consulente.
Ma ciò che è prezioso, in questo libro da centellinare dopo la visione dei singoli film, è la freschezza della presa diretta, impressioni e pensieri che hanno il soffio dell’appena accaduto e sono invece congelati sulla carta da cinquant’anni e più: «Se non si respira l’aria calda», scrive all’inizio Rosi durante i sopralluoghi per Salvatore Giuliano, «se non si vedono queste facce, l’abulia, la miseria, la gente ferma a sedere senza far niente, se non si capiscono le abitudini, non si potranno capire i fatti di questo film»; in chiusura ecco i segni della stanchezza, e la volontà di reagire, sul set della Carmen : «Non mi interessa teorizzare di cinema, mi interessa ancora, anche se costa sempre più fatica per le difficoltà obiettive e per la nausea che te ne viene, fare un film, riuscire cioè a passare dai fantasmi di una intuizione alla fisicità della narrazione». Dubbio finale, da consegnare alle prossime generazioni di storici. Ai tempi di Rosi la carta era insostituibile per fissare riflessioni e ispirazioni ma chi vorrà lasciare qualche segno del cinema di oggi, della nascita delle opere dei Manetti e di Mainetti, di Rovere e Nicchiarelli, Costanzo e Di Costanzo, dovrà rassegnarsi a pubblicare un libro di email e messagginiwhatsapp?