Corriere della Sera, 28 dicembre 2022
Intervista a Irma Testa
Si è messa i guantoni e ha scolpito, a pugni, se stessa. Ha danzato sul ring e abbattuto pregiudizi. Prima di Irma Testa (25 anni oggi, auguri), poliziotta, la boxe femminile italiana non esisteva: lei l’ha portata all’Olimpiade e le ha messo una medaglia al collo (bronzo a Tokyo). Poi ha fatto coming out: dietro quei pugni, un’anima rivoluzionaria.
Le differenze di genere sono un prodotto sociale: lei dimostra che si può cambiare.
«Mi piace l’idea di aver gettato il seme del cambiamento. In molti Paesi la boxe femminile è più importante di quella maschile. In Italia siamo un po’ indietro ma ci arriviamo, con i nostri tempi. Da sei anni, le medaglie provengono solo da noi ragazze. Ci alleniamo più dei maschi, abbiamo una grinta pazzesca. Il pugilato in fondo è un gioco di testa: e chi può pensare meglio di una donna?».
Il corpo di una pugile prende colpi e si riempie di lividi: lei che rapporto ha con il suo? L’accettazione di se stessa è stata naturale?
«No, da adolescente non mi piacevo. All’inizio non volevo fare la doccia insieme alle altre. Ma lo sport educa. Allenando il corpo, cominci a parlarci. È necessario: il muscolo ti dice quando devi insistere, lasciar perdere, riposarti, spingere. Il mio, poi, è un pugilato di leve lunghe, elegante. Molti mi immaginano aggressiva nella vita, non è così. Ogni donna è bella a modo suo, per le caratteristiche uniche che possiede».
Nel suo sport il peso è un elemento-chiave: cos’ha pensato leggendo degli abusi sulle ginnaste?
«Da atleta sono rimasta pietrificata. So quanto è importante la serenità mentale. Tra tanti anni non ricorderemo più le medaglie, ma la strada che abbiamo percorso per arrivarci. Mi dispiace pensare che, di questo percorso, le ginnaste abusate avranno soltanto brutti ricordi. Lo sport non è questo».
Il pugilato è stato il percorso di crescita che le ha cambiato la vita.
«Ho iniziato a 12 anni, a Torre Annunziata non ci sono tante possibilità per i giovani. O vieni da una famiglia perbene e benestante, che ti fa studiare, ma se hai i genitori assenti perché devono lavorare dalla mattina alla sera è difficile prendere strade che ti portino lontano. Io ho avuto il maestro Lucio Zurlo che ha sostituito i miei genitori. Sono entrata in palestra, mi sono subito divertita, è scattato l’amore per il pugilato. A 14 anni, in Nazionale, è arrivata la proposta: vuoi trasferirti ad Assisi? Ho detto sì».
Ha lasciato tutto.
«Quando non hai nulla, è più facile. Anche mia madre mi ha dato un calcio nel sedere: “vai, scappa, tu che puoi”».
Cos’è rimasto, oggi, di quella quattordicenne?
«Nulla, tranne una gran voglia di emergere. Ho la stessa cazzimma di quand’ero bambina, me la porterò dentro per tutta la vita. Ma ho cambiato totalmente il modo di vedere le cose. Nasci e vedi il mondo con gli occhi dei tuoi genitori, del posto dove vivi. È uno specchio. Andando via, impari a guardarlo in maniera diversa, per fortuna».
E quando torna? Che rapporto ha con le sue origini?
«Amo la mia famiglia e la mia città: a Torre torno sempre con grande piacere. Però sto due o tre giorni e poi devo scappare: ormai mi sento io sbagliata, lì. A casa mia si pranza alle due e si cena alle nove e mezza, passano amici a ogni ora per chiacchierare e prendere il caffè. Io no. Pranzo alle 12.30, ceno alle 19.30, alle 20 sono in stanza tranquilla. Amo il mio tran tran. A Torre, dopo un po’, sclero».
Il suo rifugio è Assisi.
«Per nove anni ho vissuto in hotel poi, l’anno scorso, ho preso casa da sola. Avevo bisogno dei miei spazi. Assisi è tranquillissima, dopo cena è tutto chiuso: l’ideale».
Pensava che la sua scelta di fare coming out avrebbe spinto più atlete a seguirla?
«Nel mondo dello sport è una scelta rara. Sono stata la prima donna pugile italiana a andare alle Olimpiadi, la prima medaglia olimpica: aveva senso fossi la prima pugile a fare coming out. Pensavo di portarmi dietro altre ragazze, così non è stato. E poi ci fu la questione del ddl Zan, l’applauso dei senatori quando non passò in Parlamento... Osservavo chi combatteva questa battaglia per aiutare i più deboli, ho voluto espormi. Mi sarei sentita una codarda, se non l’avessi fatto».
Perché proprio dopo l’Olimpiade?
«Perché una medaglia olimpica ti mette al riparo da tutto: io il mio l’ho fatto e se avete da ridire, pazienza».
La medaglia cambia la vita?
«Sì, nel mio sport sì. Dal punto di vista economico è rimasto tutto come prima però interiormente quel bronzo ha portato con sé appagamento, consapevolezza, soddisfazione. Una grande rivoluzione».
Da bambina aveva miti?
«Mah, ho cominciato a tirare di boxe prestissimo, non ero una studentessa modello, pochissime donne continuano gli studi a Torre Annunziata: molte si fermano alle medie, quando hanno già un fidanzatino che poi sposeranno e con cui faranno subito figli, sperando che lui non finisca arrestato. Sembra un film, invece è tutto vero».
I punti di riferimento oggi?
«Sono cresciuta osservando Federica Pellegrini e Valentina Vezzali. Una donna che ammiro incondizionatamente è Frida Kahlo: mi sono sentita vicina a lei in diverse occasioni, la penso spesso prima di un incontro. Frida ebbe un incidente, soffrì pene indicibili ma non ha mai smesso di dipingere: una donna pittrice, in Messico, all’inizio del secolo scorso. Se lei non si è arresa, perché devo mollare io?».
Ha degli interessi extra?
«Il pugilato è monopolizzante. Ma è la mia vita: se salto un allenamento, sto male. A sera arrivo stanchissima».
Quanto dura la carriera di una pugile?
«Fino a 40 anni. Però devi aver voglia di prendere cazzotti fino a quell’età, con tutti i rischi per la salute. Non so se sarà il mio caso…».
E nel futuro cosa vede?
«Vorrei dei figli, una famiglia non lo so, ma per me famiglia è anche una madre e un figlio».