Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  dicembre 28 Mercoledì calendario

I giovani tedeschi indossano la cravatta

Come ogni anno a Natale, i giornali danno consigli sui regali per mogli, amanti, figli. E tutti sono d’accordo che è difficile trovare un dono per gli uomini. Tra i vari suggerimenti, più o meno identici di anno in anno, non ci sono le cravatte. Nessuno me ne ha mai regalata una, tranne mia moglie, ma lei conosce i miei gusti. E Silvio Berlusconi. Durante il semestre dell’Italia alla guida dell’Europa, mi inviò una cravatta in seta, credo della napoletana Marinella, blu con piccoli tricolori, bianco rosso e verde. Non l’ho mai portata. Non per motivi politici, ma mi piace avere pezzi unici, e il cavaliere la donò a centinaia di giornalisti e diplomatici. L’avrebbe dovuta regalare solo a me.






Die Kravatte ist nich tot, la cravatta non è morta, è il titolo nell’edizione natalizia della Süddeutsche Zeitung, illustrata con una foto di Sophia Loren che fa il nodo a Marcello Mastroianni. Due divi illustri e italiani, quindi di buon gusto, ma del passato. Dal 2008, l’anno della grande crisi, le vendite di cravatte sono diminuite del 35%. Temevo peggio. Lo ha rivelato Barbara Pauen, capa della Ascot, rinomata fabbrica di cravatte tedesca. E la comprano i giovani.


I padri preferiscono andare in maglione, rinunciano anche alla giacca. I figli, sempre ribelli, riscoprono le cravatte. Le portano di nuovo, ma non in ufficio. Si va in cravatta alle feste, e al ristorante. Una ribellione per una volta pacifica, una buona notizia.


Io ne ho un cassetto del comò pieno. Non ne ho mai buttata una. Centinaia di cravatte con cui si potrebbe allestire una mostra, su come sono cambiate dagli ’50 a l’altro ieri. Agli esami all’Università bisognava andare in giacca e cravatta. E anche al giornale. Agli inizi da cronista, ne tenevo una nel cassetto. Se mi spedivano sul luogo di un delitto, la lasciavo in cronaca. La mettevo se andavo a intervistare qualcuno, il sindaco, o Giulio Einaudi.




Alla Stampa, dove divenni redattore agli esteri, era obbligatorio andare in giacca e cravatta, per tacito ordine del direttore Giulio De Benedetti, che però non portava cravatta, indossava sempre un maglioncino girocollo. Andavo con la cravatta a chiudere la mia pagina in tipografia, d’estate con 30 gradi e il 90% di umidità. E all’epoca si lavorava con il piombo fuso. Non mi ribellavo, lo trovavo giusto, un segno di rispetto per i tipografi che indossavano un camice nero.


Il magnate delle viti, il miliardario Reinhold Würth, 87 anni. è un sostenitore della cravatta. La pretende alle riunioni con i collaboratori: «È un segno di serietà». La cravatta è un problema culturale tra Italia e Germania. Gli amici tedeschi, in quanto italiano, mi considerano un maestro d’eleganza. Un tempo mi chiedevano un giudizio sulla loro cravatta: «A te sta bene», rispondevo da italico Machiavelli. Non hanno mai capito che era una critica. I tedeschi non hanno il senso dei colori, come prova anche la loro lingua. Noi abbiamo un termine per ogni sfumatura, loro dicono blau, o Hell Blau, blu chiaro per celeste. Hanno imparato a dire azzurro all’italiana, e rosa rimane rosa anche in tedesco.


Scegliere la cravatta non è facile, come ha ricordato il collega Antonino D’Anna, che ne ha una collezione. Non basta abbinare i colori, dipende dalla sfumatura. E dal tessuto. Il professor Mario Monti compiva un grave errore, sfoggiando una cravatta di seta con il loden, in lana, giacca o mantello da gentiluomo di campagna. Bisognerebbe evitare le cravatte amate dai patiti della Gran Bretagna, sono quelle dei clan scozzesi, o di Oxford e Cambridge, o di storici reggimenti. È come spacciarsi per soci di un club esclusivo.


La cravatta la sfoggiava Al Capone e il cowboy John Wayne, la conquistarono per le donne Marlene Dietrich e Greta Garbo. Ma un secolo prima la portava George Sand. La porta il capitalista Donald Trump e non la dimentica Vladimir Putin. Perfino gli anarchici hanno una loro cravatta.


Ultimo consiglio. Non seguite i miei consigli. A tinta unita o caleidoscopica, a righe, a pallini, a losanghe o con i pupazzetti, larga o stretta, la cravatta è l’ultimo simbolo di libertà maschile. Sceglietela come vi pare. Se ti piace, a te sta bene.