il Fatto Quotidiano, 28 dicembre 2022
I 100 anni di Stan Lee
Un astro del nostro immaginario, un generatore automatico di universi paralleli. Un comunicatore mirabile, un businessman spettacolare e controverso. Parlantina torrenziale ed entusiasmo irrefrenabile, baffi a manubrio, occhiali a goccia. Sono cent’anni, oggi, dalla nascita di Stan Lee, l’artefice di un brand tra i più inconfondibili dell’intrattenimento globale contemporaneo.
Pseudonimo definitivo del fumettista-caporedattore-editore-produttore americano Stanley Martin Lieber, è immortale per aver reso la Marvel Comics la principale casa editrice multimediale del settore. Insieme ai disegnatori Jack Kirby e Steve Ditko, con i quali non sono mancate le querelle, Stan ha ideato personaggi complessi, sfaccettati, vulnerabili, molto meno infallibili della tradizione. Supereroi con superproblemi. Ben altra roba rispetto ai Superman e Batman della major Dc Comics. Da lì la svolta. E dalla carta al grande schermo il trapianto è riuscito benissimo, a molti zeri: negli ultimi vent’anni e rotti non si contano gli adattamenti cinematografici Marvel che hanno sbancato il box-office. Blockbuster ricavati miscelando trame e semidei di famiglia. E poi i telefilm, le serie tv.
Ne ha fatta di strada questo ragazzo nato da ebrei di origine romena emigrati a New York. Ufficialmente “Il Sorridente” (uno dei suoi soprannomi) ha abbandonato questo pianeta nel 2018, all’età di 96 anni. Ma i fan più accesi sperano di rivederlo nel prossimo cameo: su Instagram, il “presidente emerito” vanta tuttora oltre 12 milioni di follower.
Un superhero movie personale lungo un secolo, dal suo debutto nel 1941 con una storia per un numero di Capitan America. È la prima volta che si firma Stan Lee. Prende servizio nella piccola Timeline Comics di Martin Goodman (futura Marvel) e la promozione a sceneggiatore avviene seduta stante. Nel dopoguerra imperversano, però, tempi difficili e moralistici: i fumetti subiscono una sorta di maccartismo psicologico, vengono accusati di traviare le menti dei giovani. Ma col fluire degli anni 50 il cielo tende a rasserenarsi. La Dc Comics ritrova successo col supergruppo Justice League of America. La risposta Timeline non si fa attendere: Lee, che stava per abbandonare i balloon (“Non sono mai stato un lettore appassionato di fumetti… Per me era solo un lavoro, un modo per fare soldi” dichiarerà in seguito), plasma le avventure extra-umanissime dei Fantastici Quattro. Siamo nel 1961, l’albo sovverte i paradigmi del genere. Mr. Fantastic, la Ragazza Invisibile, la Cosa e la Torcia Umana costituiscono una banda disfunzionale, zeppa di amabili contraddizioni. Sono eroi normali, sprofondati nella realtà. Il trionfo è istantaneo. Seguono, a stretto giro e con caratteristiche speculari, Hulk e Spiderman (1962), Iron Man e gli X-Men (1963), Daredevil(1964). Dottor Strange, gli Avengers, Thor. Supereroi irrisolti, malinconici o lunatici, non esenti nemmeno dalle malattie. Come noi, ma alla potenza.
La Marvel fa il botto e i comic books recuperano lo slancio perduto. Piacciono sia al grande pubblico sia alla controcultura dei campus. I baby boomer se ne innamorano. Stan Lee sceneggia, supervisiona, promuove, al grido di battaglia “Excelsior!”. Coi lettori instaura un rapporto che sfiora la fede religiosa: i più devoti li ribattezza true believers (veri credenti). Arrivano gli anni 80 e il trasferimento in California. L’obiettivo, adesso, è conquistare Hollywood. Dopo non poche e inconfessabili resistenze, gli Studios aprono le porte ai loro supereroi. Comincia una luna di miele lungi dall’interrompersi. Stan si prodiga dietro e davanti la macchina da presa. Non c’è pellicola in cui non compaia in prima persona. Fino all’ultimo respiro. “Sono un attore frustrato. Il mio obiettivo è battere Hitchcock e il suo record di apparizioni cinematografiche”. Il suo cameo preferito? L’epifania in Avengers: age of Ultron (2015), dove interpreta un veterano della Seconda guerra mondiale ubriaco. Red carpet, premi, provocazioni, consacrazioni e interpolazioni autobiografiche. Resta una domanda: chi è stata la vera mente creativa Marvel? L’imperatore o i suoi illustratori-cosceneggiatori? “Stanley is God” scrisse lui stesso quando aveva 17 anni. “Ha il complesso di Dio” confermò, molti anni dopo, Jack Kirby.