La Stampa, 27 dicembre 2022
Intervista ad Antonio Tajani
Messa alle spalle (o quasi) la complicata partita della manovra, Antonio Tajani pone un obiettivo al governo: «Una grande riforma della burocrazia». Il vicepremier è anche il ministro degli Esteri e lancia messaggi alla Russia: «Mandi segnali di voler negoziare».
Ministro, Putin dice di voler aprire un negoziato. C’è da fidarsi?
«I fatti ci dicono di no».
A cosa si riferisce?
«Se fosse vera e sincera questa disponibilità credo che non ci sarebbe stato quel bombardamento alla vigilia di Natale. Alle parole di Putin non seguono i fatti».
Quali segnali si aspetterebbe da Putin, se davvero fosse aperto al dialogo?
«Un segnale potrebbe arrivare dalla gestione della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Per il momento non lo abbiamo visto».
L’Italia manderà ancora armi all’Ucraina?
«Il Parlamento si è espresso pochi giorni fa in questo senso e il governo ha una posizione molto chiara».
Il Natale è stato molto teso anche al confine tra Kosovo e Serbia: minacce, provocazioni e anche una sparatoria. Siamo alle porte di una nuova guerra etnica?
«Speriamo di no. Faccio un appello ad allentare le tensioni».
Lei è stato in Kosovo e Serbia un mese fa, che ruolo può giocare l’Italia?
«L’Italia sta già svolgendo un ruolo importante, la presenza dei nostri militari è uno strumento di politica estera e non è un caso che a guidare la missione Nato KFor sia un generale italiano. Il nostro scopo è tornare a essere protagonisti di quella regione, come già altri Stati stanno provando a fare. In questo senso si inquadra la conferenza sui Balcani in programma tra un mese a Trieste, a cui farà seguito un evento a Roma con i ministri degli Esteri di quella regione».
Giorni caldi anche in Libia: il governo ha un piano?
«Per noi è un’area strategica per molti motivi. Ho invitato a Roma l’inviato dell’Onu Abdoulaye Bathily con il quale concordiamo l’auspicio che si possano svolgere presto le elezioni».
È previsto un viaggio suo o della presidente del Consiglio?
«Ci si arriverà, prima bisogna che sia chiaro un percorso che porti alle elezioni. La stabilità della Libia è fondamentale anche per la questione dei migranti».
I diritti umani vengono calpestati in Libia sulla pelle dei migranti, l’Italia vigilerà su questo?
«Anche per avere un controllo su queste situazioni è fondamentale che la Libia abbia un governo stabile».
Le violazioni dei diritti umani più elementari avvengono anche in Iran.
«Sto aspettando l’insediamento del nuovo ambasciatore per convocarlo e spiegargli la posizione italiana di ferma condanna della repressione in corso. Se allarghiamo lo sguardo e arriviamo in Afghanistan notiamo una recrudescenza fondamentalista che ci preoccupa».
È l’anno buono per riformare il Patto di stabilità e crescita dell’Unione europea?
«È una riforma fondamentale. L’obiettivo è che il patto non sia solo di stabilità, ma anche di crescita».
Altra riforma importante è quella del superamento dell’unanimità nelle decisioni del Consiglio europeo. Lei è da sempre favorevole, mentre il premier polacco, Mateusz Morawiecki, alleato di Meloni, in un’intervista a La Stampa ha ribadito la sua contrarietà. Che posizione ha il governo italiano?
«Non ne abbiamo ancora discusso. Per arrivarci bisognerà passare per una riforma dei trattati, un processo lungo».
Lei rappresenta l’anima europeista del governo?
«Io eviterei queste etichette. È ovvio che, visti i nostri trascorsi, io e Raffaele Fitto abbiamo un’interlocuzione fluida con Bruxelles. Ma in generale il governo si sta mostrando molto coeso».
È stato giusto rinunciare alla norma che aboliva le sanzioni per chi rifiuta i pagamenti elettronici?
«Sì. Al di là del merito della questione, bisogna mostrarsi flessibili. Se noi giustamente chiediamo flessibilità alla Commissione, ad esempio sul Pnrr, poi dobbiamo mostrarci collaborativi e dialoganti se arrivano richieste da Bruxelles».
L’approvazione della manovra alla Camera è stata segnata da errori, ritardi e proteste. Per una maggioranza sulla carta così coesa, è una brutta immagine?
«Capisco l’effetto che provoca leggere di emendamenti presentati, cancellati o spariti, ma è quello che succede ogni anno. Stavolta poi c’è una differenza: il governo è entrato in carica con la sessione di bilancio già aperta, dovendo destinare quasi tutte le risorse a contrastare il caro energia. L’importante era tenere a posto i conti ed evitare l’esercizio provvisorio: lo abbiamo fatto».
Visto che c’era poco tempo non era il caso di lasciare l’incombenza a Mario Draghi? L’ex premier dice che avrebbe voluto proseguire il suo percorso, ma Forza Italia non gli ha votato la fiducia.
«La domanda andrebbe posta ai Cinque stelle. Noi eravamo pronti ad andare avanti, con un governo senza il M5S, ma il Pd si è tirato indietro».
Forza Italia ha qualche rammarico?
«No. Abbiamo portato a casa la detassazione del lavoro giovanile, la proroga della scadenza del superbonus e l’aumento delle pensioni minime».
Chiedevate mille euro, ne avete ottenute 600.
«Le risorse erano limitate. Ma questo è l’inizio di un percorso di cinque anni».
Forza Italia è ancora spaccata?
«Non lo è mai stata. Da noi non ci sono correnti, né personalismi, ma solo la leadership di Silvio Berlusconi».
Superato lo scoglio della manovra da cosa ripartirà il governo?
«La priorità adesso è una grande riforma della burocrazia. Anche per onorare la memoria di un grande protagonista di queste battaglie: Franco Frattini».
La riforma del Codice degli appalti va nella giusta direzione?
«Sì, è l’inizio di un percorso. Ora bisogna togliere quanti più richieste di permessi e di autorizzazioni possibili. Ormai è provato che avere troppe norme favorisce la corruzione e non il contrario».
Le scadenze del Pnrr la preoccupano?
«No, il ministro Fitto sta facendo un ottimo lavoro e la Commissione è cosciente del fatto che il Next Generation Eu è nato in circostanze diverse da quelle attuali».
Nei giorni scorsi Giorgia Meloni ha parlato di un possibile aumento delle spese militari, è così?
«C’è un obiettivo di tutti i Paesi Nato: arrivare progressivamente al 2% del Pil da destinare alle spese militare. L’Italia vuole rispettare questo impegno».
Lei è stato presidente del Parlamento europeo, si è mai accorto che il peso di certe lobby era così forte, come emerso dal Qatargate?
«La dimensione di questo scandalo mi ha stupito: non pensavo si potesse arrivare a tanto. Detto ciò voglio difendere l’istituzione: il fatto che nell’ultima cena ci fosse un traditore non rende colpevoli gli altri apostoli»