la Repubblica, 27 dicembre 2022
Intervista a Gabriele Muccino
La villa immersa nel verde, un angolo di paradiso nascosto nel traffico di Via Trionfale, a Roma, è diventata il ristorante San Pietro. La storia dei Ristuccia e dei Mariani continua. Gabriele Muccino ha finito di girare la seconda stagione diA casa tutti bene, serie cult di Sky (la vedremo nei prossimi mesi, il primo capitolo ha vinto il Nastro d’argento ex aequo con Le fate ignoranti di Ferzan Ozpetek).
Intreccia il destino di due famiglie, di uomini e donne alle prese con legami complicati, dolorosi, di rivincite sociali e vendette. Cast sontuoso, da Laura Morante a Francesco Scianna, da Antonio Folletto a Alessio Moneta, e poi Laura Andriani, Simone Liberati, Valerio Aprea; la vita mette tutti davanti a prove difficili, lo scheletro ritrovato nella villa all’Argentario, traccia di un delitto di trent’anni prima, racconta ombre del passato.
Il bellissimo ragazzo con gli occhi chiari che chiede spiegazioni è Silvio Leonardo, figlio del regista, che lavora sul set. Ma fa l’attore?
«Glielo chiedono tutti», sorride Muccino, «ma gli piace il lavoro dietro le quinte, fa l’aiuto regista».
Cosa succederà nella seconda stagione?
«Ho spinto ulteriormente sui legami perché i sentimenti primari portano a conseguenze estreme. Le maschere che i protagonisti cercavano di portare fino alla fine, in questa seconda stagione cadono».
Doveva girare due episodi, ha finito per girare due stagioni.
«C’è un legame forte con i personaggi, li conosco nel bene e nel male. Non potevo pensarli nellemani di un altro regista. Ci ho messo le mie impronte digitali. E quindi ho personalizzato al massimo la serie. Ci saranno grandi colpi di scena».
Di Emma Marrone aveva capito subito il potenziale?
«Annuso abbastanza gli attori, e verifico con un provino. Emma è diretta, autentica nel modo di stare al mondo, non ha filtri. Per me era molto giusta anche per il compagno che ha accanto, Alessio Moneta».
Cosa conta di più nel suo lavoro?
«La libertà. La serie mi ha dato l’opportunità di esplorare filoni come il crime, che nel film non era contemplato. Sia Sky che Lotus mi hanno dato la completa libertà artistica, non ho uno showrunner che mi dice quanti primi piani devo fare. Sarei scappato lontano».
Fuggiamo dalla famiglia e inevitabilmente torniamo. Le
famiglie felici secondo lei esistono?
«Tendiamo a fuggire e finiamo per somigliare ai genitori, un cerchio che si chiude, una nemesi. Credo che ognuno trovi la sua felicità».
C’è una battuta bellissima nel film di Scola “La terrazza”: «Coraggio, il meglio è passato».
Spesso guardando le storie che racconta, si prova la stessa sensazione.
«È l’opportunità che non ritorna. I miei personaggi sono famelici di vita, sanno che va presa a morsi, perché se no avranno rimorsi. Gassman, tra i protagonisti di quel film, meraviglioso antieroe, questo sentimento lo rappresenta bene. La commedia italiana raccontava la società, la famiglia: le mie radici prendono acqua dal neorealismo. La visione di Risi e Scola è moderna».
Quando devono definire unastoria con sentimenti estremi, si dice: è mucciniana. Le fa piacere o le dispiace?
«Lo dicono da molto tempo mi ci sono abituato, ma non saprei analizzare i motivi. Ho girato molti più film di quelli che mi sarei augurato di fare. La serie non è un’idea nata all’ultimo momento».
Pensa che i critici siano stati ingiusti con lei?
«Non hanno voluto confondere i loro gusti con quelli del pubblico, tradizione italiana che ha radici profonde. Questa cosa un po’ li isola. Qualcuno ha scritto che L’ultimo bacioera un bluff e io sarei finito, prima leggendo speravo di trovare una sorta di specchio. Spesso ho visto che era deformante».
Racconta persone senza pelle, scava nel dolore. Ha un costo dal punto di vista emotivo?
«È liberatorio. Molti nodi della mia vita, anche personali e legati all’insicurezza, li ho risolti mettendoli in scena. Come Shakespeare con Amleto, la rappresentazione della verità metteva a nudo la vita stessa».
Si è anche raccontato in un’autobiografia, “La vita addosso”, si vuole più bene?
«Dico le cose come le penso, non mi sono mai sentito così libero»
Ha tre figli: che impara da loro?
«Il più grande, Silvio Leonardo, ama la regia; il secondo, Ilan, vive a Ravenna, Penelope è la piccola di casa. Sono cresciuti in un mondo diverso del nostro. Comunicano in modo veloce, sono nativi digitali, e al tempo spesso vittime di una certa superficialità».
Lei da chi ha ricevuto
l’educazione l’artistica?
«Da mia madre, glielo riconosco: i valzer di Strauss eLa tempesta di Shakespeare a cinque anni. Anche sopravvalutato come bambino».
Il rapporto con suo fratello Silvio non si è mai più ricucito?
«No, sono passati tanti anni. Mi dispiace soprattutto per i miei genitori».
Tornare in Italia dopo il periodo americano è stata la scelta giusta?
«Da quando sono tornato mi sento appagato, posso dire felice. Ho conosciuto anche momenti molto tristi, mi hanno fortificato, hanno creato anticorpi contro il dolore. Ma ho vissuto abbastanza anche in maniera privilegiata».
Ha detto: «Il cinema disonesto è quello che vuole farti felice, darti una pacca sulla spalla e dirti: dai che la vita è bella.... I miei finali sono agrodolci o amari». Almeno al cinema non pensa che l’happy ending ce lo meritiamo?
«Qualche volta sì. Nella vita ci sono momenti di felicità e sono i nostri happy ending; qualcosa che era incompiuto, irrisolto, si scioglie. La felicità quando nasce un figlio. Nella vita l’uomo diventa infelice quando è in fase di stagnazione, quando non va verso il traguardo. Il covid ha significato fermarsi, che è sempre foriero di malattie mentali. Il movimento, l’ignoto sono spinte importanti».
Ora che farà?
«Appena consegno le puntate inizio il prossimo film. Girare la serie mi ha fatto venire voglia di svelare cosa c’è oltre la facciata. L’uomo è capace di tutto».