la Repubblica, 27 dicembre 2022
Rave di Capodanno a Kiev (nel locale che prepara ranci vegani per i soldati al fronte)
Il party di Capodanno più underground di Kiev si chiamerà “Gate 31”, inizierà alle cinque di mattina del primo gennaio e chiuderà le porte alle 10 di sera, per permettere a tutti di essere a casa entro le 11, ora del coprifuoco nella capitale ucraina. “31” sta per il civico della via Nyzhnoiurkivska. La parola “gate” è ironica e si riferisce agli aeroporti: posti di uso comune che hanno smesso di esistere per i giovani da quando il 24 febbraio è iniziata l’invasione russa.
Il luogo che lo ospiterà è il Closer ed è un locale che fino a prima dell’inizio della guerra era salito nell’olimpo dei club in Europa, dove per un dj techno o house era obbligatorio passare. Il party avrà una lineup di dj ucraini di Kiev e altre città, e il tema sarà il viaggio. Quello che appunto durante le vacanze non si può più fare. Se suoneranno le sirene, con ogni probabilità, si continuerà a ballare.
La storia di Closer è quella del cuore pulsante di una città in cui la musica e la cultura underground non sono state spente dalle bombe, sono anzi diventate più mature, trasformandosi in resistenza a un’aggressione ingiusta.
In questi giorni di festività di fine anno e Natale, infatti, nella capitale ucraina si respira la voglia di normalità. Le strade del centro sono popolate da persone che fanno acquisti, i negozi sono aperti, i ristoranti e i caffè sono pieni. Durante i blackout i bar continuano a servire. Quando scattano gli allarmi anti aerei, la maggior parte delle persone continua a fare quello che stava facendo. Solo chi si trova per strada scende brevemente in metropolitana, per poi riemergere.
Di sera le strade sono buie, illuminate solo dai fari delle auto e dai semafori. Nel centro però la vita continua. Passeggiando si vedono piccole torce che illuminano i marciapiedi e qua e là, bar, locali e speakeasyche si alimentano con i generatori o semplicemente sperano in una notte senza blackout.
Sergiy Yatsenko estrae i vinili dalla borsa e li sistema vicino ai piatti del Tcp bar, un posto volutamente kitsch che serve cocktail e offre dj-set dalle 18 alle 22 due volte alla settimana. Yatsenko è una figura di riferimento per la scena musicale di Kiev ed è uno dei fondatori del Closer. È un trentenne di due metri con i capelli scuri e i baffi. Accanto a lui c’è la compagna Maria Yermakova, stretta in una tuta da lavoro che indossa come un abito da sera e non ha bisogno di dire che fa la modella.
Dal 24 febbraio tutto è cambiato, ma il faro guida della musica rimane. «Ero agli allenamenti di basket e sono tornato tardi, all’una. C’era qualcosa di strano nell’aria e con la mia ragazza siamo rimasti svegli a guardare la tv. Poi è arrivato il discorso di Putin», da lì un vortice dieventi: la decisione sfortunata di lasciare la città e trasferirsi a Irpin in una casa di famiglia, ignorando che quello sarebbe diventato il fronte. Gli incontri con i vicini, i giorni incerti e infine i bombardamenti e i morti tutt’intorno. Una nuova fuga verso l’Ovest e alcuni mesi lontani dalla capitale.
«In quei mesi iniziali il club è diventato un centro logistico. Molti di noi sono rimasti. La cucina del caffè di Closer ha iniziato a produrre pasti vegani per i militari, perché c’erano tanti soldati che lo richiedevano. Abbiamo ospitato esercitazioni tattiche per le forze di difesa territoriali e saldato cavalli di frisa. Avevamo tutto l’equipaggiamento che usiamo per costruire strutture di metallo per i festival e ci è tornato utile».
A maggio il primo evento dall’inizio del conflitto. Musica minimale e due mostre. «C’erano circa duemila persone e per me è stato unoshock, non avevo visto tanta gente per molto tempo. E all’improvviso era strano, nessuno ballava, tutti parlavano e basta». Da lì, eventi di ascolto, musica elettronica che ripercorreva il trauma dell’aggressione e della perdita, letture, mostre ed eventi culturali che hanno rafforzato la comunità. E poi la solidarietà di altri europei, come il Berghain di Berlino che ha organizzato tre eventi di raccolta fondi per il Closer. Tra agosto e novembre è tornata una programmazione settimanale. Mentre da dicembre gli attacchi sulle infrastrutture strategiche e i blackout hanno imposto un’agenda più austera.
Nei mesi di parziale ritorno alla normalità sono quattro i dj europei che hanno scelto di intraprendere il tortuoso viaggio verso Kiev per dimostrare che il legame della musica va oltre il divertimento. Due di loro sono italiani: Federico Benedetti in arte “Onirik” Giammarco Orsini, entrambi di base a Berlino.
«Oltre al lavoro di dj faccio anche un lavoro di distribuzione tra etichette e negozi specializzati di dischi e lavoro da anni con una etichetta ucraina che si chiama Wicked Bass di proprietà di Noizar uno dei dj residenti di Closer», spiega Benedetti, «Già nel 2020 ero stato a Kiev. Nel nostro ambiente, prima della guerra, quella di Kiev era vista come una delle scene più interessanti. Suonare al Closer era considerata una tappa importante. Quando è iniziata la guerra mi sono sentito personalmente coinvolto, per questo quando Roof Booking (un’agenzia, ndr) mi ha chiesto di andare ho deciso di farlo», continua, «è stata un’esperienza unica. Ho percepito il valore universale della musica». Quello che era un club, coincidono i due italiani, è diventato una comunità, «Sono sicuro», aggiunge Orsini, «ne sentiremo ancora parlare. Con la guerra e dopo».