Corriere della Sera, 27 dicembre 2022
Leo Gullotta si racconta
Sessant’anni di carriera iniziati per caso. «Un giorno nei corridoi della mia scuola trovai un manifesto del Centro universitario Teatrale: bandivano due mesi di corsi per dodici allievi. Non sapevo cosa fosse né di cosa si trattasse, ma ero curioso, notavo questa fila di universitari molto più grandi di me. E mi sono messo in coda». Così Leo Gullotta, «senza il fuoco sacro» o un testo preparato («mi misero davanti un leggio con un brano dell’Adelchi») iniziò il suo viaggio nel mondo dello spettacolo. Varie sfide tra teatro, cinema, tv, doppiaggio, che l’attore siciliano ripercorre in un’’autobiografia scritta a quattro mani con Andrea Ciaffaroni «Leo Gullotta, la serietà del comico» (Sagoma Editore). Un racconto che parte dal Fortino, il quartiere popolare di Catania dove nacque nel ‘46, ultimo di sei figli. L’esordio sul palcoscenico con Turi Ferro, Salvo Randone, Ave Ninchi. «Studio e volontà mi hanno sempre guidato. Me lo hanno insegnato i “grandi” ma anche la vita», spiega Gullotta che con il nuovo anno partirà in tour. Sarà protagonista di «Anche nella vita la pioggia deve cadere» di Fabio Grossi. «Papà Carmelo era pasticciere e poi operaio. Ci ha fatto vivere con grandissima dignità e ha mandato tutti noi figli a scuola. Quando mi trovai al bivio, se fare l’insegnante o l’attore, mi rispose: quando tu magari avrai cinquant’anni mi dispiacerebbe che mi ricordassi per averti indirizzato a una scelta lavorativa che non hai amato. Scegli tu, fai quello che più desideri». Aggiunge: «Non ho mai fatto distinzioni tra ruoli da protagonista e non. Per me conta il progetto». Ha avuto 3 David di Donatello, 2 Nastri d’Argento, un Globo d’Oro... «È bellissimo ricevere premi. La mattina dopo, però, devi avere il coraggio di lasciarli sulla mensola dello studio e ripartire, sapendo che dovrai dare ancora di più».