Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  dicembre 26 Lunedì calendario

TI PIACE 'O PRESEPE? - LA RIVOLUZIONE PARTENOPEA DELLA RAPPRESENTAZIONE DELLA NASCITA DI CRISTO: UNIRE OGGETTI SACRI E OGGETTI PROFANI – DAL PRIMO PRESEPIO REALIZZATO DA SAN FRANCESCO NEL 1223, CHE ERA ESCLUSIVAMENTE RELIGIOSO, È DIVENTATO UNA SCENOGRAFIA DI MOLTITUDINI DOVE ACCANTO AI PASTORELLI E AI RE MAGI SI POSSONO TROVARE LE STATUINE DI MARADONA, DEI MANESKIN E DI TOTÒ – L’OPINIONE DEI PRESEPAI DI NAPOLI, CAPITALE MONDIALE DEL PRESEPE: “QUESTO SIGNIFICA FAR ENTRARE LA VITA DI GESÙ NELLE NOSTRE VITE” -

Sono passati esattamente 799 anni, da quando San Francesco d'Assisi allestì quello che è diventato il primo presepe della storia. Una mangiatoria, un po' di paglia, la grotta con il bue e l'asino e tutt' intorno le fiaccole e gli abitanti di Greccio, il borgo di pastori (reali) in provincia di Rieti. Era la notte di Natale del 1223. Francesco era appena tornato da un pellegrinaggio in Terra Santa e s'era messo in animo di «far memoria del Bambino che è nato a Betlemme e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi per la mancanza delle cose necessarie a un neonato», come scrisse fra Tommaso da Celano nella prima biografia del santo approvata nel 1229. Francesco a novembre aveva ricevuto la bolla pontificia per la sua «regola», motivo in più per «osare» nella richiesta a Papa Onorio III di poter inscenare la rappresentazione della natività in quella grotta a Greccio che gli ricordava Betlemme.

Da allora sono trascorsi otto secoli e il Presepe è entrato nelle case di tutti gli italiani, ha oltrepassato i nostri confini toccando tutte le latitudini, si è popolato di personaggi, belli, brutti, buoni e meno buoni, veri, finti, antichi e contemporanei, si è vestito di carta e cartapesta, di stagnola, di fontane, fiumi, stelle, angeli, pastori e decine di animali. Ed è mutato non solo nella sua messa in scena, ma nella sua essenza: da rappresentare la natività è diventato la rappresentazione dell'umanità.

«Da oggetto esclusivamente religioso, la rappresentazione della nascita di Cristo è diventato un teatro del sacro, una scenografia di moltitudini dove si fondono e si confondono soggetti sacri e soggetti profani», come sottolineano nel libro appena uscito «Il Presepe» scritto a quattro mani da Marino Niola, docente di Antropologia dei simboli e Antropologia della contemporaneità all'Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli e da Elisabetta Moro, professore di Antropologia culturale nella stessa università.

Un libro che è un viaggio che parte da Betlemme, tocca Greccio e il suo presepe immortalato da Giotto nella Basilica Superiore di Assisi e scolpito 70 anni dopo da Arnolfo di Cambio, nel 1291, in quelle prime otto «statuine» che sono il più antico presepe tridimensionale giunto fino a noi, oggi visitabile nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, dove sono conservate tra l'altro anche alcune reliquie della mangiatoia in cui sarebbe venuto alla luce Gesù.

Da lì si allarga nel centro Italia, si allunga nel Cinquecento con le Natività Rinascimentali dei fratelli della Robbia (nel Duomo di Volterra, in San Marco a Firenze e Santo Spirito a Siena) o quella di Rosellino ora al Metropolitan Museum. La lista sarebbe ancora lunga ma ha sempre una caratteristica comune: sono tutte rappresentazioni «del nucleo sacro della Natività che escludono ogni scena di carattere mondano», precisano gli autori nel libro. Tant' è vero che sono tutte opere collocate fino a questo punto della storia in luoghi di culto. Sono presepi «noti soprattutto ai devoti nonché alla ristretta cerchia dei conoscitori d'arte». Ed è così finché non arriva a Napoli.

E lì, nel '700 avviene la sua «domesticazione». Il presepe esce dalle chiese, scende nelle strade, si sporca le mani con la vita di tutti i giorni e la capanna del Bambin Gesù diventa il centro di una scena in continua mutazione. La «dimensione sociale» a poco a poco finisce per soverchiare quella religiosa.

Nel 1765 Napoli è ormai nota in tutta Europa come la capitale dei presepi. E tale è rimasta. Calzolai, falegnami, re neri, donne di malaffare, osti, venditori ambulanti, giocolieri, biscazzieri, pizzaioli, angeli, monacelli sopravvivono accanto ai vari Maradona, Totò, Madre Teresa di Calcutta, Lady Diana e, ora, persino ai Maneskin. C'è il passato e il presente. C'è il bene e c'è il male «perché questo significa far entrare la vita di Gesù nelle nostre vite - commenta Marco Ferrigno che costruisce i pastori da una vita -. Non ci sono persone o luoghi che non possono stare dentro al presepe». Questa è la vera rivoluzione partenopea che finisce per contagiare tutta Europa. In Spagna ad esempio uno dei personaggi più amati è il cagator conosciuto anche come el cagòn del belén cioè «il cagone del presepe». Di sottinteso c'è poco: pantaloni abbassati, posizione accovacciata, deiezioni in bella mostra, con l'angelo celestiale che guarda tutti dall'alto.

E da noi? Ogni luogo trasforma la Galilea a sua immagine e somiglianza. Ogni paese ne fa lo specchio di se stesso. Ma in continua mutazione, con accostamenti anche azzardati che però, tra muschio e montagne di carta mai risultano non tollerabili. Fianco a fianco tra una pecora e l'altra ci sono soggetti che neanche stanno nello stesso tempo né nello stesso spazio. Personaggi appartenenti a epoche diverse come il prete che celebra la messa, il cacciatore con il fucile quando ancora non era sta neanche inventata la polvere da sparo, il pizzaiolo con la pala, la dama vestita alla moda parigina. Il presepe va sempre avanti, alimentando le contraddizioni, con la sua umanità indifferente, nelle sue faccende affaccendata, e i poveri pastori in adorazione.

Oggi, accanto a quelli della tradizione ci sono volti dell'attualità ma ora è possibile anche farsi fare il pastore con la propria faccia e posizionarsi accanto ai personaggi senza i quali un presepe non è un presepe. Quali? Primo fra tutti «Benino», il dormiente che non può essere svegliato perché sta sognando proprio il presepe. E guai a destare questo sogno. Sparirebbe la magia del presepe e forse anche il presepe stesso... Viene rappresentato un po' infreddolito, sotto una piccola capannina, chi lo fa giovane, chi più vecchietto, chi di mezza età, ma sempre circondato da 12 pecorelle bianche che rappresentano i 12 mesi dell'anno, «cioè il presepe nella sua interezza annuale», racconta il presepaio Ferrigno.

Benino c'è sempre stato, fin dal '700, c'era già nel presepe di Cuciniello, il più «colto» e il più famoso al mondo, conservato nella Certosa di San Martino a Napoli. Benino è così importante, ed è così fondamentale che non si svegli che vicino a lui non può mancare Armenzio, il vecchio padre, che veglia sul sonno del figlio. Immancabile è anche il cosiddetto «Pastore della meraviglia», l'unico che va a far visita alla Madonna a mani vuote, senza un dono, solo con una lanterna e la bocca spalancata.

Ma Maria, come spiega Ferrigno, secondo la tradizione, si rivolgerà a lui dicendo che il mondo sarà meraviglioso finché ci saranno persone come lui in grado di meravigliarsi. Nel presepe napoletano la tradizione vuole anche «Ciccibacco», seduto su un carro di buoi che trasporta il vino ed è un po' il dio del vino che ha la funzione di collegare il mondo dei viventi al mondo divino. Per questo sta su un ponte, altro oggetto imprescindibile, così come la taverna con l'oste dalla faccia arcigna, la personificazione del Male, tra carni appese, donne che ballano, uomini che suonano, in un luogo dove sono rappresentati tutti i vizi, dove il «materiale» si contrappone allo spirituale, dove l'oste vuole impedire agli uomini di accorgersi di quello che sta accadendo poco più in là.

Più in là dove invece non può non esserci «Stefania» che sarebbe riuscita ad arrivare al cospetto della Madonna, anche se la visita era consentita solo alle donne sposate e con figli e lei non era né l'una né l'altra. «Stefania - racconta Ferrigno - raccoglie un sasso, lo fascia come fosse un neonato, e non solo raggiunge Maria ma è lei a soccorrerla nei primi momenti dopo il parto. È talmente brava e talmente gentile che il giorno dopo il sasso starnutirà... Da lì la tradizione di Santo Stefano il giorno dopo Natale». Poi c'è Donna Carmela con pane, vino e uova, simboli della prosperità, e ci sono i 12 mestieri, che rappresentano i 12 mesi dell'anno, come il castagnaro a simboleggiare novembre e il pescivendolo agosto. C'è e continuerà ad esserci la storia e l'attualità, in un intreccio che non relega mai il presepe nel passato.