Tuttolibri, 24 dicembre 2022
I volti degli inglesi illustri
Spezzare la maschera che trasforma un volto, scavare per raggiungere l’essenziale della persona. Farne emergere forza e debolezza, ma anche energia e pensieri negativi. Per tramandarli nel tempo, sotto forma di ritratto, di sculture, di miniature, di fotografie. Vita dura, quella del ritrattista, analizzata da Simon Schama in Il volto di un impero. L’Inghilterra attraverso i suoi capolavori (Mondadori, pp.668, € 40). L’autore, docente di storia e storia dell’arte alla Columbia University, scrittore e vincitore di un premio Emmy, arriva a realizzare questo libro dopo anni di osservazione di dipinti e fotografie dei secoli scorsi ospitati alla National Portrait Gallery di Londra. Li analizza, li studia, entra nella testa di chi stava in posa – fosse Winston Churchill, Carlo I, la Regina Elisabetta I o John Lennon fotografato cinque ore prima della sua morte – ma anche di chi dall’altra parte, con pennelli, strumenti da scultore o con una macchina fotografica in mano stava per realizzare un’opera destinata a durare in eterno e trasmettere segnali. Più forti di un selfie con il telefonino dei nostri momenti terreni, quelli del mordi e fuggi, dove tutto dura il tempo di un battito di ciglia. Francis Bacon, l’enfant terrible, ritraeva soltanto persone conosciute, e bene. Era sicuro che l’essenza di una persona non fosse scritta nell’apparenza – come per secoli hanno sostenuto i ritrattisti – ma che andasse ricercata nell’effetto che faceva quando questa persona entrava in una stanza. Lui, Bacon, la chiamava «pulsazione», qualcosa di simile a una secrezione capace di fuoriuscire dal corpo. E, solo a quel punto, essere dipinta.Emozioni, quindi, ma anche artifizi, se necessario. Come nel caso di George, principe di Galles, ritratto in miniature sempre in modo irresistibile, perché la sua bellezza potesse arrivare nelle case – e stare sui comodini o appesa al collo sotto forma di ciondolo – delle donne corteggiate. Richard Cosway, il suo ritrattista, gli divenne amico, arrivando a dipingerne il viso su avorio anche due o tre volte l’anno, perché ad ogni conquista corrispondeva un nuovo quadro. Non fu lui, però, a immortalare l’attrice Drury Lane: ormai (quasi) abbandonata malgrado le promesse d’amore, il principe chiese a Thomas Gainsborough di ritrarla a figura intera, in un ambiente rustico e autunnale. Insomma, dipingere la tristezza per comunicare il benservito.Due esempi, due storie, per entrare in un mondo oggi appeso alle pareti di un museo, e che nel libro di Schama va oltre la volontà di passare in rassegna quei volti, scavando nella storia che porta a quell’immagine, al potere e alla sua rappresentazione, quella che, come scritto nella prefazione, è la «collisione triangolare di volontà tra modello, artista e pubblico» per raccontare una presenza, una vita terrena, di un britannico insigne.