Tuttolibri, 24 dicembre 2022
Le case degli scrittori
Da quando la mia amica Ilaria mi ha regalato un vecchio libro preso fra gli scaffali dell’usato, il mio rapporto con il design di interni si è di colpo risvegliato dopo anni di inconsapevole letargo. È infatti fra gli interni che ho speso gran parte della mia vita, pur essendo una viaggiatrice vorace che ha macinato chilometri e chilometri fra America Latina ed Europa e a cui non spaventano le traversate su navi cargo o su fatiscenti treni notturni; ma è dentro le case che, per me, accadono le cose più sorprendenti ed è per questo che alle case ho dedicato gran parte della mia cura e della mia curiosità -sono una di quelle che cammina con il naso in su per sbirciare dentro finestre sconosciute.Il libro ricevuto in dono racchiudeva una serie di preziosi consigli su come rendere confortevole la propria abitazione, era scritto da una arredatrice di interni newyorkese che, aiutata da deliziose immagini ad acquerello, spiegava la differenza fra i vari tipi di stoffe da seduta, sulla necessità di avere un tavolino da caffè non più alto del sofà, di collocare qua e là oggetti buffi fra il vasellame e le cose di valore: come rendere una casa accogliente, ordinata, profumata e carica di quell’atmosfera che solo i vivi riescono a restituire alle case -io, per oltre un anno, ho avuto il vasino di mio figlio sopra l’impeccabile tappeto persiano, fra una pianta di ficus elastica e un tavolino di marmo e ottone recuperato al mercatino.Di quel libro non si trovano quasi più copie, ed è un peccato perché avrei voluto regalarne a quintali alle amiche come me fanatiche delle tappezzerie e dei pomelli o a quei conoscenti ancora capaci di orrori imperdonabili come stendere tovaglie plastificate sui tavoli o infilare mazzetti di fiori finti nei vasi di porcellana. Arriva però in soccorso un libro che non solo placa la sete di posh ossessionata di interni, ma anche quella di chi si chiede dove e come gli autori e le autrici abbiano scritto i loro libri migliori. Una stanza tutta per sé di Alex Johnson (Ippocampo, pp. 192, € 19.90) è un piccolo gioiello illustrato da James Oases, sempre ad acquerello, che va a indagare nelle vite intime di scrittori e scrittrici. Non è la prima volta che qualcuno va a curiosare nelle case di chi scrive, perché dopotutto il luogo più frequentato da chi per mestiere deve stare seduto a cercare di cavare qualcosa fuori dalla propria testa (e perché no, dal proprio cuore) è la casa, ed è nella casa che si nascondono i segreti delle persone.Il lavoro dello scrittore è diverso solo per una cosa da qualsiasi altro: nato come smartworking -adesso sono in molti a contendersi il posto, ma a chi scrive libri spetta di diritto-, ti permette di stare costantemente a contatto fisico con le cose e le persone amate oppure disprezzate, e questa è una cosa che in un modo o nell’altro entra fra le pagine, i testi che leggiamo sono intrisi di quei segreti invisibili che sono la carta da parati, i tappeti e soprattutto quello che nascondono sotto. Ci sono scrittori che non possono tollerare l’aria aperta, e sono quelli che capisco di più, per i quali la delimitazione dello spazio è necessaria per non dare invece limiti all’immaginazione, quelli che lo studio è fondamentale, che bisogna stare ben chiusi lasciandosi alle spalle le cose del mondo, eppure non riescono a rinunciare completamente al mondo che entra, come Murakami che ama molto ascoltare la musica come faceva pure Eco, e quelli che si accontentano di una finestra per guardare la vita che accade fuori (Sylvia Plath, Astrid Lindgren, Victor Hugo). Ci sono i monacali, quelli capaci di lavorare nei tuguri un po’ fatiscenti e le capanne (George Bernard Shaw, William Wordsworth) e quelli che non si alzano dal letto manco per sbaglio, gli opulenti come Proust e Wharton.Poi ci sono gli irregolari, come Margareth Atwood che non ha orari né luoghi fissi, a dispetto dell’esortazione di Gustave Flaubert: «Sii regolare e ordinato nella vita così da poter essere violento e originale nel tuo lavoro». D.H Lawrence a cui bastava un maestoso albero e una panca e l’eccentrico Twain che nel proprio studio volle un tavolo da biliardo. Un’altra orfana eccellente di scrivania è Jane Austen, a cui il padre regalò un piccolo scrittoio portatile per i suoi diciannove anni -quello che oggi definiremmo laptop, e scriveva le due delizie appoggiandolo sulle gambe, in salotto, o sopra il tavolo da pranzo. Luoghi che parlano di chi li ha abitati e scrittori che parlano dei luoghi in cui abitano, studi, anfratti, caffè o poltrone in aereo non importa, nel silenzio o nel frastuono, circondati da giocattoli d’epoca o da animali domestici. Io ho trovato la mia preferita: quella di Beatrix Potter, piccola, ordinata, verde, piena di fiori, una tana per conigli.