La Stampa, 24 dicembre 2022
Parla Domenico De Sole, socio di Tom Ford
Il suo nome è praticamente sconosciuto al pubblico italiano, ma per gli addetti ai lavori Domenico De Sole è uno dei manager di maggior successo della moda. È un maniaco del lavoro, ha un’autodisciplina da avvocato e una capacità ineguagliabile di focalizzarsi sulla redditività. Ma soprattutto è un uomo che sa creare valore e fare affari, come ha appena dimostrato vendendo Tom Ford International a Estée Lauder per 2,8 miliardi di dollari.
Dal 1994 De Sole è il partner commerciale dello stilista americano Tom Ford. Nato in provincia di Crotone, è oggi il "Dom" del famoso duo "Dom e Tom" della moda. Negli anni ’90 De Sole, in qualità di amministratore delegato del Gruppo Gucci, ha preso insieme a Tom Ford quello che era un marchio moribondo sull’orlo del fallimento e l’ha trasformato in un’azienda globale, un protagonista multimiliardario del lusso. Non solo ha rilanciato Gucci, ma sotto l’ombrello del gruppo Kering di François Pinault ha acquistato marchi come Yves Saint Laurent, Bottega Veneta e Stella McCartney.
Carlo Capasa, presidente della Camera nazionale della moda italiana, afferma che «il duo Dom e Tom ha unito i due elementi necessari per avere successo, il lato creativo e la gestione pragmatica del business». Paragona De Sole e Ford alle più famose coppie creative-imprenditoriali, come Giorgio Armani e Sergio Galeotti, Gianni Versace e Santo Versace, Miuccia Prada e Patrizio Bertelli. «Avevano tutte lo stesso equilibrio tra creatività e pragmatismo», aggiunge Capasa, che ha lavorato con Gucci negli anni Novanta.
De Sole e Ford hanno lasciato Gucci nel 2004 e hanno creato il proprio marchio statunitense: Tom Ford International. Lo scorso mese De Sole ha concluso quello che ad oggi è il suo affare più imponente, la vendita per 2,8 miliardi di dollari delle attività di Tom Ford al gruppo americano Estée Lauder. Si dice che l’accordo abbia fruttato solo Ford più di 1,5 miliardi di dollari.
Marco Tronchetti Provera, che ha nominato De Sole nel CdA di Pirelli nel 2017, dice del manager: «I suoi successi sono costruiti sulle sue non comuni capacità e sulla sua professionalità. Come tutte le storie di successo che si consolidano nel tempo ha alla base tanto lavoro e concentrazione continua».
De Sole, 78 anni, ammette di essere uno stacanovista. «In realtà lavoro tutto il giorno. Vivo per il lavoro. Non faccio altro o quasi», mi dice via zoom dalla sua casa di Aspen. Ma è anche un appassionato velista. Nella sua grande villa sul mare a Hilton Head, in South Carolina, ha una "piccola" barca da regata. È anche un fanatico dell’esercizio fisico: un impianto Peloton dotato di un enorme schermo gli permette di vogare su un fiume con la sua imbarcazione immaginaria. De Sole si sposta tra le sue abitazioni di New York e di Hilton Head, ma per Natale ha organizzato una grande riunione di famiglia nella tenuta di Aspen, con figli e nipoti.
Domenico De Sole, all’inizio dell’anno ha incaricato Goldman Sachs di studiare la vendita di Tom Ford. Mi parli di questo e dell’accordo che avete appena concluso con Estée Lauder.
«In prima battuta abbiamo cercato un potenziale investitore all’interno dell’azienda. E poi abbiamo finito per vendere a Estée Lauder. Ovviamente c’era più di un potenziale acquirente. L’importo pagato è stato di 2,8 miliardi di dollari».
Torniamo al 2005 o 2006, quando lei e Tom Ford avevate appena lasciato Gucci. Nel 2007 avete lanciato il nuovo marchio Tom Ford. Com’è andata?
«Abbiamo lasciato Gucci a metà 2004. Nel 2005 abbiamo deciso di avviare una nuova attività. All’epoca avevo 60 anni. Ma Tom è molto più giovane di me, ha 16 anni in meno. Così abbiamo deciso di iniziare con due licenze, basate sull’incredibile genio di Tom per occhiali e beauty. Ho iniziato a collaborare con Maurizio Marcolin per gli occhiali, grazie al mio meraviglioso amico Diego Della Valle. All’epoca erano in affari insieme, è stato Diego a metterci in contatto con Maurizio. Quella è stata la prima licenza che abbiamo stipulato. Poi è arrivata la seconda, con Estée Lauder. Ero, e sono tuttora, molto amico di Leonard Lauder. Dopo la scomparsa della madre è stato lui a fare di Estée Lauder la società che è oggi. Ricordo che abbiamo trattato per diversi mesi e poi abbiamo concluso un accordo per cosmetici e profumi: ed ecco la Tom Ford Beauty».
E i vestiti?
«A quel punto Tom mi ha detto che voleva fondare un’azienda di moda, che ha una grande importanza anche per gli altri prodotti. Per molte persone il marchio è il negozio e poter contare su un’azienda di moda come sostegno per le licenze era fondamentale».
Avete stipulato contratti di produzione per l’abbigliamento maschile e in seguito per gli accessori con Zegna in Italia, che ora ha ottenuto una licenza trentennale da Estée Lauder per la produzione e la distribuzione in tutto il mondo.
«Faccio parte da tempo del consiglio di amministrazione di Zegna. Sono entrato nel 2005 e intendo rimanervi. Otterranno ottimi risultati con questa licenza, ma io non sarò coinvolto e neppure Tom. Lavoreranno con un nuovo team».
Prima della vendita, quali erano i ricavi e i profitti di Tom Ford International?
«Parliamo di 450 milioni di dollari alla fine di quest’anno. In particolare, mettendo insieme l’azienda di moda e le royalties provenienti dal settore degli occhiali e dei profumi, abbiamo un margine operativo lordo, davvero notevole. Sfioriamo i 200 milioni di dollari».
Un margine operativo lordo di 200 milioni di dollari su 450 di fatturato?
«Sì, perché una parte consistente deriva dalle royalty, che vanno direttamente nel reddito netto».
Con Lvmh e Kering che acquistano così tante aziende e pochi marchi italiani ancora in mano alle famiglie fondatrici, c’è il rischio che alcuni di questi brand perdano la loro anima diventando prodotti di marketing più anonimi?
«Non credo. Bernard Arnault e François-Henri Pinault sono uomini d’affari molto esperti e lucidi e hanno una profonda comprensione anche del lato creativo del business. Hanno fatto un ottimo lavoro con i marchi: non è facile gestire un’azienda di moda dal punto di vista finanziario. Non è affatto facile».