Corriere della Sera, 24 dicembre 2022
Intervista a Marisela Federici, regina dei salotti
«Mi vedete sempre in mezzo alla gente, io invece adoro il silenzio». È il primo dei paradossi di Marisela Federici, la regina dei salotti. Ma non diteglielo, lei detesta questa parola: «Noi non facciamo divani, diceva mio marito». Forse non le piace nemmeno la parola vip... «La trovo orrenda. Come quando si dice che ho l’arte di mettere a proprio agio le persone. Detesto. Per stare a proprio agio si va in camera da letto e in bagno. Io prendo l’anima delle persone per farle sognare e divertire». Conosce l’ironia e l’opulenza. Donna di forti contrasti, come la vita nella sua splendida dimora: grandi feste e una rapina traumatica.
Lei vive nella villa accanto a quella di Berlusconi.
«No, quella è via Erode Attico, un’appendice dell’Appia Antica, dove sono io. Prima eravamo in via XXIV Maggio, ma in affitto, e mio marito, Paolo Federici, voleva vivere a casa sua. Accanto al Quirinale. Una vista impressionante. Decisi di andare sull’Appia perché i miei figli a scuola scrivevano che gli alberi crescono dall’alto in basso, pensando che il cielo fosse giù per terra a causa della vista dall’alto. Così ci trasferimmo a Villa La Furibonda, così mi chiamavano i figli vedendomi incavolata. Era stata costruita dall’architetto Piacentini, non si poteva toccare nulla».
È ancora esclusivo, oggi, vivere sull’Appia?
«Ti godi la natura. Qui viviamo cinque stagioni, abbiamo la rugiada. C’è il privilegio della solitudine, che paradossalmente mi appartiene. È andata bene con Paolo perché era sordo da un orecchio e mi ha dato il privilegio di entrare nel suo silenzio. Tutti parlano bene dei morti, ma Paolo se lo merita. Uomo di finanza, elegante, nobile in tutto, mi dava equilibrio. All’epoca gli apparecchi acustici riproducevano ogni rumore, gli dicevo una cosa e me ne rispondeva un’altra. Questo è matto, pensai la prima volta».
Difficile associare il silenzio a lei.
«Invece ne faccio buon uso. Sono apparentemente esibizionista, ma quello è un obbligo, è un impegno che mi sono imposta. Sono così anche in casa, calze, tacchi, collana di perle. E dico sempre gracias a la vida».
Perché veste sempre di nero?
«Solo così riesco a sentire Paolo, mi fa compagnia. Sono sei anni che se n’è andato. Ricordo il funerale qui alla Furibonda, due preti gesuiti, i due figli, il notaio e il chitarrista che si chiama Mario Mio, è il suo cognome, non è mio. Io cantai, in vita era sordo ma la mia voce la sentiva».
È vero che ha dodici frigoriferi?
«Sono ventiquattro, ma spenti. Paolo aveva una collezione di vini bianchi preziosi. Io vivo sola con i camerieri e con un cane (non come un cane). Non ho voglia di sedermi a tavola in solitudine. Mangio crudo, preparo il cibo in una cucinetta accanto alla mia stanza».
Ma darà ancora belle feste...
«Sono colazioni in piedi. Se ti siedi e sei sfortunato di avere accanto un rompiscatole, è la fine. Qui a Roma le cene sono noiose, i club, il generone, i professionisti. Si parla di calcio e di salute. Non è divertente».
Chi non deve mancare nei suoi inviti?
«Deve esserci una miscela, una principessa, un cardinale, uno scrittore non mancano mai. Non è necessario avere un gran cognome. Mi divertono gli ambasciatori, o gente che si occupa di musica. Una conversazione altrettanto importante posso averla con il pastore del Quarto Miglio, qui vicino, o con Riccardo il gommista. Poi voglio il ricco sfrenato, le povere ma belle e qualche mignotta ma mi rimangio questa volgarità, diciamo qualche donnina leggera».
Ospiti fissi, Cesare Romiti, Mario D’Urso...
«Sono tutti morti quelli dello zoccolo duro. Roma è molto cambiata, però una buona qualità, se sai scegliere, si trova sempre».
Come ricorda la rapina in casa?
«Non te la dimentichi, ancora oggi apro una porta e mi sembra di vedere quei tre maledetti incappucciati. Mi è rimasto addosso il loro odore d’aglio. Erano le sette del pomeriggio di tanti anni fa. Entrarono da una finestra, ce ne saranno trecento qui, accanto alla mia stanza da letto, mai dormito con nessuno salvo per fare i figli. Ho avuto prontezza d’animo. Sono credente e mi affido allo Spirito Santo. Gridai, ma come vi permettete? Rimasero increduli. Poi mi inginocchiai davanti a uno di loro: mio marito è malato. Gli dissi, non potete prendervi tutto, qualcosa dovete lasciarmelo. Misi qualcosa nella federa del cuscino. Si sono portati via le cose più belle, anelli, orecchini, collane. Paolo non sentì nulla e rimase inconsapevole. Quel giorno ho capito che nella vita puoi perdere tutto, che in fondo abbiamo troppe cose, sembra ridicolo che lo dicessi io, ma ero viva. Il dolore fu più per la paura che per la perdita. Ora tutte le porte hanno l’allarme, anche la mia cagnolina Frida è blindata».
Parla sempre di Paolo. E il suo primo marito?
«Ci sentiamo ogni tanto. Roger Tamraz, libanese. L’ho conosciuto a Gstaad in Svizzera a una festa mascherata per Vittorio Emanuele di Savoia. Avevo i capelli sciolti e stavo esagerando nell’alcol. Io vestita da zingara, lui è molto basso, un nano col cappello di D’Artagnan. Si presentò come parrucchiere e mi invitò a ballare. Ballava divinamente. Mi invitò al ristorante: al riccone posso dire no, un parrucchiere lo offendi. Ordinai dell’acqua e una insalatina, non volevo metterlo in difficoltà. Lo rividi a Parigi al matrimonio di un messicano. Pensai: sarà il coiffeur della sposa. Altro ristorante, lì se non prenoti tre mesi prima non ti danno il tavolo. Gliene diedero uno speciale. Mi mandò a prendere con la Rolls Royce. Passò Niarchos, l’armatore greco e gli mise una mano sulla spalla, come va amico mio, disse. Si può essere sceme ma non troppo, ditemi chi è questo signore, esclamai. Banchiere, si muove tra petrolio e gas, ricchissimo. Suni Agnelli mi disse, ma come fai a innamorarti di uno alto come un divano?».
La sua amica Susanna Agnelli.
«Una donna a cui devo moltissimo, ho visto più lei della mia vera madre, è la madrina dei miei figli. Ma non voglio parlare di Suni, hanno fatto delle illazioni sul nostro sentimento, non voglio tornarci sopra. Sono una signora di 73 anni e certe parole non stanno bene».
Che idea s’è fatta della querelle ereditaria tra Margherita Agnelli e i suoi figli?
«Ha ragione lei. Lì è tutta una maschera, non dovrei dirlo ma c’è anche abbastanza ignoranza, hanno quel cinismo che ti dà la grande ricchezza. Tante cose di famiglia non si dicono. Di Margherita, hanno privilegiato figli con un certo cognome e depennato i de Pahlen. Romiti, un romano tosto, non era così amato in casa Agnelli, benché avesse salvato la Fiat era visto come uno del popolo».
Tornando al primo marito, anche lei non se la passava male, famiglia di latifondisti venezuelani...
«Ma sa, Caracas era come un villaggio, ci chiamavano gli oligarchi del Venezuela. Ora sono tutti poveri, c’è un disastro economico. Mio nonno materno fu presidente della Repubblica, mio padre era nella politica, era impegnato ma per divertimento. C’era la dittatura, la corruzione, si lottava per l’ingiustizia sociale. Un grande caos. Papà finì in carcere. Mia madre andò da Gallegos: rivoglio mio marito, sto per partorire. Lui era presidente del Paese ma anche scrittore, la protagonista di un suo romanzo si chiamava Marisela ed ecco perché mi chiamo così».
È stata amica del pittore Salvador Dalí.
«Era pazzo: di sé e di Gala, sua moglie, talmente brutta da essere bellissima. La compagna ideale. Salvador era asessuato. Un matto totale, basta vedere lo sguardo, i baffi a punta...».
Chi sono i grandi personaggi di oggi?
«Mi fa una domanda a cui è difficile rispondere... Trovo brava Camilla, la moglie di re Carlo, ha capito che bisogna aspettare il momento, mentre non mi piaceva per niente Lady Diana che ho conosciuto a una serata di beneficenza a Palazzo Farnese. Non la potevo vedere, non ha capito il suo ruolo. Essendo una Spencer, famiglia forse più antica dei Windsor, ha avuto un comportamento imperdonabile, lo sapeva che non sposava un geometra del Comune».
Ha conosciuto Alberto Sordi.
«Venne a casa mia e disse, ci sono troppe telecamere, non posso baciarti. Simpaticissimo. Non posso dire altrettanto di Kashoggi, non aveva gusto, quei rubinetti d’oro che erano solo dorati, la volgarità del nuovo ricco arabo. Poi ho un ricordo orrendo a Montecarlo, dovevo andare sul suo panfilo e persi un brillante prezioso: feci letteralmente smontare il bagno della mia stanza all’hotel de Paris».
Cos’è la mondanità?
«È farsi una foto e apparire in un video. Io non ho più voglia di apparire, fuggo da Dagospia. Roberto D’Agostino è intelligentissimo ma dà un’immagine di me che... Sembro una imbecille che non fa altro che feste. Le faccio, ma non le pubblico».
Lei è erede dei salotti di Maria Angiolillo?
«Io non sono erede di nessuno, io faccio le feste perché mi diverto, lei si faceva pagare per le sue cene, da signori che la usavano. Era una impeccabile lobbista, se un tale aveva bisogno di un certo ministro, combinava. Sapeva coordinare un tavolo. La politica con me c’entra poco, a parte la campagna per Tajani sindaco, fu divertente ma andò male».
In lei convivono diverse anime: frivola e giocosa, organizza feste di cha cha cha e cene coi potenti della terra, è devota, fa volontariato e aiuta la ricerca contro il cancro. Dimentichiamo qualcosa?
«Sì, che piango per il mio Venezuela, penso a come sarebbe stata la mia vita se vi fossi rimasta. La prego solo di una cosa, non mi dipinga come una superficiale, non lo sono per niente».
Non ci ha detto nulla dei suoi figli.
«Edoardo ha quasi 40 anni ed è un uomo di finanza, Margherita è una pazza, fa foto di nudi, la chiama Dior, butta il vestito per terra e ritrae le modelle senza vestiti. Il problema di Margherita sono io».