Stefano Bruno Galli* per “Libero quotidiano”, 24 dicembre 2022
“I LOMBARDI? UNA BARCA DI COJONI” – IL GRAN LOMBARDO GIANNI BRERA (CHE CI HA LASCIATI 30 ANNI FA) E LA FEROCE AUTOCRITICA SULLA RAZZA PADANA - “LA GRAN PARTE DEL PAESE VIVE PIÙ O MENO ALLEGRAMENTE SU NOI LOMBARDI, CHE ESPRIMIAMO CIRCA IL 30 PER CENTO DELL'ECONOMIA NAZIONALE MA NON POSSIAMO LAMENTARCI, PERCHÉ “METTEREMMO IN ANCOR PIÙ VIVO RISALTO LA NOSTRA QUALITÀ DI IMBECILLI” – IL RICORDO DELL’ASSESSORE ALLA REGIONE LOMBARDIA STEFANO BRUNO GALLI -
*Assessore Autonomia e Cultura regione Lombardia Se ne è andato trent' anni fa e viveva a Milano, nome di origine celtica: «terra di mezzo». La città è sempre stata «virilissimo centro di vita».
Perciò Milano è «maschio». È città di benessere e ricchezza, lavoro e produttività. Offre opportunità. È nata «dal vigore e dall'intelligenza» del popolo lombardo. Padano della Bassa, Brera ha descritto il pluralismo identitario e culturale della Lombardia.
Ogni territorio ha la sua storia. Bisogna studiarla e raccontarla. Brera la raccontava - ricorrendo a uno stile assai godibile - un po' a modo suo, con qualche svarione storico. Ma si faceva leggere, tra neologismi, latinismi e lombardismi. Per Brera la Lombardia esprimeva un vero e proprio modello di civiltà, caratterizzato da un pluralismo territoriale tuttavia riconducibile all'unità. Schierandosi dalla parte della cultura popolare, cercando di valorizzarne la lingua, ci ha raccontato una terra viva. Se la Lombardia ha un padre nobile, questo è Carlo Cattaneo.
Dopo il 1848, «el scior Carlo» auspicò che «si costituisse una Confederazione e non un regno. Parole vane!». E cade in errore a proposito dell'impegno parlamentare cattaneano, che non vi fu. Eletto più volte, non entrò mai nell'assemblea legislativa poiché si rifiutava di giurare fedeltà alla monarchia. Era una questione di coerenza.
Il suo modello di federalismo - non una confederazione, come scrive Brera - esigeva un ordine politico repubblicano e democratico, non già una monarchia costituzionale. Il giudizio conclusivo di Brera su Cattaneo è netto: «Era colto e intelligente, onesto e tutto di un pezzo». Proprio per questo «non poteva trovar posto in un'Italia così sciagurata e sconnessa».
LE SPECIFICITÀ Se osserviamo la storia lombarda, ci rendiamo conto che la Lombardia non è mai stata «regione» dal punto di vista istituzionale, politico e amministrativo, sino all'età rivoluzionaria e napoleonica. È dunque molto giovane, ha poco più di due secoli. E tuttavia ha una sua specifica identità, espressione del più autentico «spirito» lombardo. Di cui bisogna andare fieramente orgogliosi. E che occorre rivendicare con forza, come faceva Gianni Brera.
La sua testimonianza si è tradotta in una vita spesa - al di là delle cronache sportive - a esplorare e a raccontare la Lombardia, con le sue specificità storiche, culturali e linguistiche, enogastronomiche e produttive. Il suo ricorso a un linguaggio che pesca a piene mani dall'idioma locale e dalle espressioni vernacolari tramandate ai posteri poggia su una consapevolezza: la lingua locale è la testimonianza diretta delle tradizioni civiche territoriali. Si tratta delle «fibre durevoli» della vita civile, come diceva Cattaneo.
Nei confronti dei lombardi Brera non era affatto tenero. Ci definiva - senza pietà - «una barca di cojoni». La traduzione è superflua. Nei fatti i lombardi sono sempre stati esclusi o quasi dalla politica nazionale e dalle posizioni di potere. «La gran parte del Paese vive più o meno allegramente sudi noi, che esprimiamo circa il 30 per cento dell'economia nazionale». Ma non possiamo lamentarci, perché «metteremmo in ancor più vivo risalto la nostra qualità di imbecilli». Un manipolo di coglioni, appunto.
«SCIOR CARLO» I principi del «scior Carlo» sono ancora validi. $ però impensabile che «noi si riesca ad applicarli in modo soddisfacente». Quattro anni prima delle Cinque giornate, di cui sarebbe stato ineguagliato protagonista, Carlo Cattaneo diede alle stampe le sue Notizie naturali e civili su la Lombardia. Con travolgente passione, il razionale teorico del primato della cultura universale della scienza e della tecnica, fondatore - nel 1839 - del "Politecnico", dipinse un vivace affresco di quella «regione d'Italia, naturalmente e civilmente dalle altre distinta, a cui per singolari circostanze rimase circoscritto il nome già sì vasto e variabile di Lombardia». Una regione di cui cerca di cogliere «una certa unità di concetto».
Non è corretto attribuire le ragioni del primato lombardo alla natura. «Se il nostro paese è ubertoso e bello, e nella regione dei laghi forse il più bello di tutti, possiamo dire eziandìo che nessun popolo svolse con tanta perseveranza d'arte i doni che gli confidò la cortese natura». A suo giudizio la terra lombarda «per nove decimi è opera delle nostre mani». È frutto delle fatiche della gente lombarda e deriva dall'impegno e dalla vocazione al saper fare. Era stato chiaro: «Noi, senza dirci migliori degli altri popoli, possiamo reggere al paragone di qual altro sìasi più illustre per intelligenza o più ammirato per virtù; e aspettiamo che un'altra nazione ci mostri, se può, in pari spazio di terra le vestigia di maggiori e più perseveranti fatiche».
L'evoluzione della prosperità materiale e morale - cioè l'incivilimento di una comunità territoriale - non piove mai dal cielo. Non è un dono della natura, per quanto possa essere generosa.
È piuttosto il risultato della dedizione al lavoro, dello spirito di sacrificio e del primato dell'intelligenza produttiva che alberga nella mentalità e nello spirito della gente lombarda. La vocazione economica e produttiva è un elemento di identità politica, poiché definisce la cultura di una comunità; che sostiene il suo essere «popolo», cioè un aggregato politico. «Mutter Lombardei» è stata tuttavia «violentemente messa a pecorone da un fauno arrazzato fino al delirio».
È stata cioè oggetto di politiche vessatorie dal punto di vista fiscale, una costante nella storia lombarda, dal Barbarossa agli spagnoli, dagli Asburgo ai Savoia, infine alla Repubblica. Schiavitù fiscale. E si traduce in un grido di dolore condiviso, fondato sul disagio, sul malessere e sul rancore, che alimenta l'aspirazione all'autonomia politica e amministrativa dallo Stato centrale. Aspirazione che oggi non può più essere ignorata. Gianni Brera era davvero un gran lombardo e l'aveva capito bene, perché conosceva la complessità e i segreti di questa affascinante regione chiamata Lombardia. Va ben insci?