Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  dicembre 22 Giovedì calendario

Tradurre il Canto di Natale di Dickens

Il povero traduttore intento a tradurre tutti i grandi romanzi di Charles Dickens, ma che si è anche dedicato anima e corpo sia a R. L. Stevenson che a Mark Twain, davanti a Canto di Natale (1843), si trova imbarazzato tra due estremi, riconoscendosi in entrambi. Nel 1874, infatti, Stevenson, letto il libro di Dickens, si entusiasmò tanto da giurare di volere fare generose donazioni per i più bisognosi. Mentre Mark Twain, all’opposto, sentenziò sinteticamente: «I hate Xmas stories» («Odio i racconti di Natale»).
Dunque, nel tradurre questo libro, intanto il povero traduttore deve sopravvivere all’aneddotica salvifica che ne è scaturita, per cui, per esempio, nel 1867 un uomo d’affari americano ne fu così commosso che chiuse la propria fabbrica il giorno di Natale (!!) e inviò un tacchino a ogni dipendente, mentre nei primi anni del secolo Ventesimo la regina di Norvegia inviò doni ai bambini poveri di Londra.
Senza poi parlare del rischio che il povero traduttore corre personalmente. Sarà vero quanto G. K. Chesterton scrisse in proposito? Ovvero: «Chissà se le visioni natalizie abbiano davvero convertito o no Scrooge, ma certamente convertiranno noi». Da cui la preoccupazione: e se il povero traduttore non ne uscisse convertito? Insomma, ai suoi occhi rischierebbe d’essere peggio di Scrooge, il che, diciamolo, non solo non è molto gratificante, ma anche preoccupante per la salvezza della sua anima.
Non si contano le traduzioni italiane di Canto di Natale, dalla prima del 1852, edita da quella straordinaria rappresentate della nobile corporazione di stampatori che fu la Borroni e Scotti di Milano, giù giù, fino all’ottima edizione della Neri Pozza, del 2022. Una vera giungla in cui il povero traduttore deve mettercela tutta per non naufragare nell’anonimato in un oceano così vasto.