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 2022  dicembre 22 Giovedì calendario

Parla Alex Bellini, esploratore e scrittore

Tornare comunità.
Riscoprire lo stupore. Fare esperienza della bellezza per sentirsi parte della natura. Masoprattutto creare una nuova sintassi, parole nuove, nuove metafore: un’alfabetizzazione ecologica per tentare di salvare il pianeta. Alex Bellini, esploratore, mental coach, ha attraversato l’Alaska su una slitta, gli Stati Uniti di corsa e ha remato lungo il Mediterraneo e gli oceani Pacifico e Atlantico. Dal 2019 porta avanti il progetto 10 rivers 1 Ocean, con l’obiettivo di navigare, a bordo di zattere realizzate con materiale di scarto, i dieci fiumi più inquinati del mondo. Dopo il Fiume delle Perle, il Gange, il Nilo, il Po e il Pacific Garbage Patch, guaderà il Mekong, per la prima volta insieme con le sue figlie di 11 e 13 anni. «Un viaggio di formazione dentro al cambiamento climatico» dice Bellini che a novembre a Sharm el-Sheikh, ha partecipato a Cop27, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima. Bellinicon Feltrinelli ha appena pubblicato
Viaggio a Oblivia. Perché dovremmo essere ecologisti e non ci riusciamo .
Alex Bellini perché non ci riusciamo?
«Serve un pensiero evoluto che sposti il focus dagli individui alle relazioni.
L’emergenza clima ci sembra qualcosa di lontano, che non ci riguarda, che non dipende da noi. Dal punto di vista evoluzionistico, essere ancorati al “qui e ora”, al tempo presente, è stata una necessità che ci ha salvato dall’estinzione, la risposta a un ambiente ostile. Siamo abituati a guardare a quello che c’è fuori dalla nostra comunità come qualcosa di minaccioso. Ma oggi l’unica possibilità di vittoria individuale è insieme con gli altri».
Che cos’è Oblivia?
«La città di fantasia in cui risiedono i personaggi della canzone di Katy Perry,Chained to the Rhythm . Parla di persone che vivono lontane dalle difficoltà: Oblivia è una bolla dalla quale non si è disposti a uscire per vedere i problemi reali. Un po’ quello che è successo a Cop27: dentro persone impegnate e visionarie, fuori l’indifferenza».
Nel suo saggio, che è anche un racconto di viaggio, propone un approccio psicologico per affrontare il cambiamento climatico. Perché?
«È un processo di evoluzione culturale. Lo psicologo ed economista israelo-americano Daniel Kahneman ha elaborato la teoria dei pensieri veloci e dei pensieri lenti.
Siamo guidati da due control room: quella veloce è intuitiva, emotiva, istintiva mentre il pensiero lento è quello capace di vedere il domani.
Forse, a un certo punto del nostro viaggio nel pianeta terra, dobbiamo far pace col nostro essere irrazionali.
Fin tanto che non consideriamo questo aspetto, finché la comunicazione ambientalista non lo esamina come problema, non staremo facendo centro».
Quali sono i principali pregiudizi che dobbiamo superare?
«Il primo è l’idea di considerare il mondo come fatto di isole, dimenticando che sotto il pelo dell’acqua c’è un tessuto connettivo che unisce tutto. L’altro è l’idea di una separazione tra uomo e natura, tra ciò che è vicino e ciò che è lontano. La nostra vita si fonda sul consumo di risorse di prodotti di cui non vediamo la produzione. Per anni abbiamo pensato che l’oceano fosse l’altrove e ci abbiamo scaricato i rifiuti. Gli stessi che adesso, come in sequel, ilmare ci sta riportando. C’è anche un altro problema».
Quale?
«Il cambiamento climatico si basa su iper-oggetti, talmente vicini a noi che possiamo vederne solo una piccola porzione. Pensiamo all’estate 2022: in Pakistan inondazioni e sul Po grande siccità. Solo un pensiero evoluto può affrontare questa ambiguità».
Perché è così importante sentirsi parte della natura?
«Siamo bravi a prenderci cura di quello che è nostro, ma restiamo impassibili di fronte al degrado dell’ambiente esterno. Dobbiamo sviluppare un sentimento nuovo, di appartenenza: se i fiumi, i mari, gli alberi, non li sento anche un po’ miei, non li proteggerò. Il primo passo è educare i bambini all’ecologia integrale: dobbiamo vederci dentro la natura. Non possiamo separare la sagoma di un uomo da quello che lacirconda».
Bisogna tornare a stupirsi?
«Lo stupore riduce il senso dell’ego e attiva una risposta collettiva. Non basta disinquinare i fiumi se non facciamo esperienza della meraviglia. Come? Andando a esplorare i tesori del nostro tormentato pianeta: non serve andare all’altro capo del mondo.
Anche il bosco dietro casa può essere visto con occhi diversi».
Cosa ne pensa dei movimenti di ragazzi che si battono per il clima?
«Tutto il bene possibile. Sono animati dal bisogno di essere allenati a un obiettivo più grande di loro. Se parliamo però della protesta che spinge alcuni a imbrattare le opere d’arte, dico è la strategia giusta per farsi vedere ma che rimane fine a se stessa».
Lei dice che serve una nuova sintassi: che cos’è l’alfabetizzazione ecologica?
«Pensiamo alle metafore: si dice che bisogna lottare contro il cambiamento climatico. Ma la guerra implica un vincitore e un vinto.
Probabilmente non arriverà un giorno in cui ci alzeremo e ci troveremo davanti a una soluzione.
Cerchiamo di immaginare invece quali azioni dobbiamo portare avanti oggi per essere ancora una forza capace di creare cambiamento tra 30mila anni: non ci saranno i nostri discendenti, ma quello che decidiamo adesso, determinerà gli scenari che chi viene dopo di noi si troverà di fronte».
Alex Bellini cosa possiamo fare subito per avviare il processo di cambiamento?
«Facciamo meno gli individui e torniamo a essere gentili, chiedendo in cambio a chi aiutiamo di fare lo stesso con un altro. In Pakistan ho viaggiato in zone poverissime, ma non sono mai andato a letto con la pancia vuota. Facciamo esperienza della bellezza, trovando un modo nuovo di stare dentro alla cose vecchie».
E la politica? Cosa deve fare la politica?
«Investire bene il tempo. Davvero vogliamo trivellare il Mediterraneo per tirare fuori una quantità di gas che basterà per tre mesi invece di concentrarci sulle fonti di energia rinnovabili?».