il Fatto Quotidiano, 22 dicembre 2022
Incendi, ostriche e sciarmutte. I Natali dei migliori
“Tutti i Natali rotolano giù dalla collina verso il mare bilingue come una luna fredda e precipitosa…”: Dylan Thomas raccontava ai bambini che ascoltavano la Bbc una lontana vigilia di Natale. Lui e altri ragazzi stavano giocando a palle di neve per strada quando esplose l’urlo della signora Prothero: “Al fuoco!”. Si lanciarono tutti verso la sua casa per scaricare le bombe di neve nell’angolo dove usciva il fumo. Poi arrivarono i vigili del fuoco. “Nessuno avrebbe potuto avere una vigilia di Natale più movimentata. E quando i pompieri chiusero la loro pompa e rimasero fermi nella stanza bagnata e affumicata, la signorina Prothero scese le scale e si fermò a scrutarli… Guardò i tre uomini alti con i loro lucidi elmetti, in piedi tra il fumo e la cenere e le palle di neve che si scioglievano, e disse loro: Volete qualcosa da leggere?”.
Dopo un rifiuto amoroso Giuseppe Berto partì volontario per la guerra d’Abissinia. Ne Gli eucaliptus cresceranno ricorda in terza persona una vigilia sconsolata: “Era il Natale 1938, il quarto di fila che lui passava in Africa… Non ce l’aveva col Natale, e neppure con gli altri, ma con se stesso, perché non riusciva a prendere le cose com’erano, giocare a carte o divertirsi con le sciarmutte (donne abissine che si davano agli invasori, ndr) e poi la Messa e mangiare fino a sentirsi pieni e infine andare a dormire un po’ brilli, con pensieri senza peso nella testa”. Lui sentiva il peso di essere lì con quelli che insegnavano ai bambini neri “Fiero l’occhio svelto il passo, chiaro il grido del valore…” e concludeva: “Faccenda più idiota di questa era difficile immaginarla”. Il soldato Berto andò a dormire senza sciarmutte, senza Messa, senza cenone, brillo solo di pensieri amari.
Di altre amarezze soffriva Virginia Woolf all’antivigilia di Natale del 1932. “Devo sfogare la mia disperazione, il mio smarrimento – ho finito ora di leggere le 30.000 parole di Flush e sono arrivata alla conclusione che non vanno. Oh che spreco, che seccatura! Quattro mesi di lavoro e Dio sa quante letture, neanche di un genere molto elevato, e non vedo come si possa ricavarne qualcosa… Quindi eccomi qui a due giorni dal Natale travolta da una delle mie grigie mareggiate”. Un Natale tormentato anche per il povero Leonard che aveva dato vita alla Hogarth Press per allontanarla dal baratro. Ma nel 1941 Virginia si sporse troppo e precipitò nel fiume Ouse con le tasche piene di sassi.
Per un contrasto con l’illustre professor Onorato Orcioni, Luigi Pirandello nel 1889 andò a terminare i suoi studi a Bonn, ospite della famiglia L***: “Il Natale non si festeggiava da due anni in casa L*** in segno di lutto per la violenta morte del secondo marito della signora Alvina. Il signor Fritz L***, dopo una vita disordinatissima, s’era ucciso con un colpo di rivoltella alla tempia, in Neuwied su la riva destra del Reno… Avevo letto la sua ultima lettera alla moglie, e non ricordavo d’aver letto mai parole d’addio e di penti mento più belle e più sincere… ‘Ho veduto tutto e tutto provato… tranne una cosa sola: in quarant’anni di vita non ho mai veduto nascere il sole. Assisterò domani dalla riva a questo spettacolo, che la notte serenissima mi promette incantevole. Vedrò nascere il sole, e sotto il bacio del suo primo raggio chiuderò la mia vita’”. Non fu un Natale felice per il giovane Pirandello, ma dal signor L*** ebbe una lezione di pirandellismo ante litteram. Il suicidio diventerà un punto nodale del Fu Mattia Pascal e una tentazione dell’autore.
Di un Natale a lieto fine racconta il sarcastico Carlo Dossi nelle sue Note Azzurre: “Natale 1884. Maraini (Adelaide Maraini Pandiani, scultrice, ndr) va a visitare Cesare Correnti. Lo trova inquieto. Correnti le rimprovera le sue lunghe assenze: si dice abbandonato dagli amici, ecc. Finisce però la lamentazione chiamando un servitore e domandando ‘Hin vegnuu sti benedetti ostregh (ostriche, ndr) de Napoli?’. E Maraini: ‘Vedo che vi sta a cuore il cibo dell’anima e anche quello del corpo’. Correnti ritorna sull’argomento delle defezioni, della solitudine, e diventa, a frasi, poeticissimo e nell’aspetto malinconicissimo. Ma entra un altro domestico, gli si avvicina con mistero e gli dice: ‘Hiin vegnuu, Eccellenza’. ‘Chi?’ domanda Correnti soprappensiero. E il servitore, dando un’occhiata di traverso a Maraini quasi temesse che, compreso il segreto, Maraini ne approfittasse: ‘Quii de Napoli’. La gioja illumina il volto del grande o, a meglio dire, del grosso uomo”.