Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  dicembre 22 Giovedì calendario

Natale a New York, tra la povera gente felice del 1870

Estratto da Natale nel Lower East Side di Jacob A. Riis (Mattioli1885)

Ero io a essere cambiato, non il Natale. Era qui, con la vecchia allegria, il vecchio messaggio di buona volontà, la vecchia strada maestra verso il cuore dell’umanità. Quante volte avevo visto la sua benedetta carità, che non si corrompe mai, illuminare i tuguri dell’oscurità e della disperazione? Quante volte avevo visto lo spirito d’abnegazione e devozione in coloro che, oltre a se stessi, non avevano nulla da donare? E quanto spesso la vista di tutto questo aveva risanato la mia fiducia nella natura umana. No. Il Natale non era finito, il suo spirito non era morto. Il ragazzo che aveva sistemato il rametto di agrifoglio sulle scale lo sapeva; il mio taccuino da giornalista lo testimoniava. A testimonianza del mio pentimento per il torto che ho fatto allo spirito buono della festa, lasciamo che il libro racconti la storia di un Natale nei caseggiati della povera gente...
È sera in Grand Street. Dalle officine e i laboratori a est e a ovest si riversano nella via sciami di operai. La strada e il marciapiede sono pieni di una folla vivace di ragazzi e ragazze, che chiacchierano allegramente e sgomitano tra la ressa di acquirenti per le feste che si attardano nei grandi magazzini. I tram procedono a fatica, pieni fin sul predellino di passeggeri carichi di pacchi di ogni dimensione e forma. Lungo il cordolo, una fila di ambulanti vendono giocattoli da un penny con i loro carrettini a spinta urlando per richiamare l’attenzione, per una volta senza paura d’essere mandati via dalla polizia. Il Natale concede due settimane di tregua dalla persecuzione persino ai fachiri di strada senza amici. Dalla vetrina di un negozio sfarzosamente illuminato, uno stuolo di donnine mature in déshabillé allunga le braccia in modo invitante a un gruppo di operai che passa di lì. I ragazzi prendono in giro le ragazze, che ridono strillando e scappano via. Il poliziotto all’angolo smette di battere le mani per scaldarsi, e per scherzo tenta di afferrarle, al che strillano ancora di più. “Quelle vostre calze saranno la morte di Santa Claus!” grida dietro di loro, mentre quelle si scansano. E loro, guardandosi indietro, esclamano sfacciatamente: “Bada ai fatti tuoi, dolcezza!” Ma le loro risate smentiscono quello che dicono. “Questa volta te l’hanno fatta” dice sorridendo il commesso del droghiere, uscito per dare un’occhiata alla folla; e i due si scambiano gli auguri di buone feste.
All’incrocio, dove due correnti opposte di passanti formano un vortice, la fila dei carretti a spinta svolta sulla strada laterale più buia. Nell’oscurità le loro torce ardono con bagliori intermittenti, che gettano ombre nere tra le travature reticolari della struttura ferroviaria soprastante. Una donna, con uno scialle logoro stretto intorno alla testa e alle spalle, contratta con un venditore ambulante per una scimmietta su un bastone e due centesimi di nastrino dorato. Cinque ragazzotti malvestiti schiacciano il naso contro la vetrina ghiacciata del negozio di giocattoli, rapiti da qualcosa che è esposto, e che si rivela essere un carretto del latte, con tanto di conducente, cavalli e bidoni di latta che è possibile scaricare. Si tratta di qualcosa che conoscono. Uno esce con un pesciolino dorato di cartone da un penny stretto in mano e, lanciando occhiate prudenti a destra e a sinistra, attraversa di corsa la strada verso il portone di un caseggiato, dove lo sta aspettando una ragazzina. “È il tuo Natale, Kate” le dice, e lo infila nel pugno impaziente di lei. Il portone nero li inghiotte.
All’estremità opposta dello stretto cortile, nel seminterrato della casa sul retro, le luci di un alberello di Natale si riflettono sul vetro sudicio della finestra. La lepre non avrebbe mai avuto bisogno di aggirarlo, tanto è minuscolo. I due bambini sono indaffarati a legare il pesciolino dorato a uno dei rami. Tre candeline accese illuminano una scena di estrema desolazione. La stanza è nera per il fumo e la sporcizia. Al centro del pavimento si intravede una stufa a petrolio che serve sia a stemperare il freddo che a cuocere i pasti. Metà dei vetri delle finestre sono spezzati e i buchi sono riempiti di stracci. Da una finestra pende la manica di un vecchio cappotto, che colpisce melanconicamente l’anta quando il vento soffia oltre il muro di recinzione e fa sbattere le imposte marce. Il bucato di famiglia, umido e grigiastro, è appeso a uno stendibiancheria teso attraverso la stanza. Sotto di esso, a una tavola apparecchiata con piatti scheggiati e vuoti, siede una donna scoraggiata che osserva con tristezza i bambini. È evidente che ha bevuto. I volti smunti dei piccoli hanno un’espressione affamata. Sono tre – il terzo, un neonato, messo a letto in quella che un tempo era una carrozzina. I due che erano in strada la stanno spingendo per raggiungere l’alberello. Il neonato lo vede e fa gridolini di gioia. Il ragazzino scuote un ramo, e il pesce dorato salta e brilla alla luce delle candele.
“Vedi, sorellina” dice lui con un filo di voce, “vedi, è Santa Claus!” E battono le mani per la gioia. La donna al tavolo si sveglia dal suo torpore, si guarda intorno e scoppia in un pianto sdolcinato.
La porta si chiude. Cinque piani più in alto, se ne apre un’altra in una spoglia soffitta che una paziente donnina sta rimettendo in ordine. Nella stanza ci sono solo tre sedie, una cassa e un letto, che richiedono, però, un’attenta collocazione. Il letto nasconde l’intonaco spezzato della parete, attraverso il quale soffia dentro il vento; ogni gamba delle sedie è collocata sopra una tana di topi, per nasconderla e per tenere lontani gli animali. Una è rimasta scoperta, per questo c’è la cassa. L’intonaco del soffitto è tenuto al suo posto mediante rappezzi di cartone. Conosco la storia di quella soffitta. È una storia di crudele abbandono. Il marito della donna vive ancora passandosela bene con la donna per la quale l’ha abbandonata, a non più di una dozzina di isolati di distanza, mentre lei ‘tiene insieme la casa per i figli’. Ha cercato d’ottenere giustizia, ma l’avvocato ha chiesto un anticipo, per cui ha rinunciato ed è tornata dai suoi piccoli. Per questa stanza, che a malapena la ripara dal vento invernale, paga quattro dollari al mese ed è in ritardo con l’affitto. In casa c’è poco pane, ma lo spirito del Natale ha trovato la strada anche per la soffitta di quella donna. Su una parete rotta è fissato un ramo di abete, ciò che resta del ceppo del droghiere all’angolo; lo spago rosa che viene dal bancone dove fanno i pacchi è appeso a festoni. L’illuminazione la fornisce un bastoncino di sego sistemato sulla cassa. Seduti sul letto, i bambini lo guardano con occhi incantati.
“Stiamo facendo il Natale!” dicono.
Le luci della Bowery brillano come una miriade di stelle scintillanti sull’incessante flusso di umanità che si accalca lungo la grande arteria dei senzatetto. Brillano sulle lunghe file di case con camere in affitto, dove centinaia di giovani, gettati senza alcuna protezione sulla scogliera della città straniera, imparano le prime lezioni di totale solitudine: perché esiste forse una desolazione più grande di quella della folla incurante quando tutto il mondo gioisce? Brillano sul Tentatore che tende le sue trappole, e sul missionario e la ragazza dell’Esercito della Salvezza, che cercano di sottrargli la sua preda; sull’ agente di polizia che compie il suo giro con occhio freddo e attento all’esito della gara; sul naufrago che non ha più speranza, e sul giovane che si ferma sul bordo della fossa in cui l’altro ha smesso da tempo di lottare.
Immagini e suoni natalizi, ce ne sono moltissimi lungo la Bowery.
@font-face {font-family:"Cambria Math”; panose-1:2 4 5 3 5 4 6 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:roman; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536870145 1107305727 0 0 415 0;}@font-face {font-family:Calibri; panose-1:2 15 5 2 2 2 4 3 2 4; mso-font-charset:0; mso-generic-font-family:swiss; mso-font-pitch:variable; mso-font-signature:-536859905 -1073732485 9 0 511 0;}p.MsoNormal, li.MsoNormal, div.MsoNormal {mso-style-unhide:no; mso-style-qformat:yes; mso-style-parent:"”; margin:0cm; margin-bottom:.0001pt; mso-pagination:widow-orphan; font-size:30.0pt; font-family:"Times New Roman”,serif; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; color:#44546A; mso-themecolor:text2; mso-fareast-language:EN-US; font-weight:bold; mso-bidi-font-weight:normal;}.MsoChpDefault {mso-style-type:export-only; mso-default-props:yes; font-size:30.0pt; mso-ansi-font-size:30.0pt; mso-bidi-font-size:30.0pt; mso-fareast-font-family:Calibri; mso-fareast-theme-font:minor-latin; color:#44546A; mso-themecolor:text2; mso-fareast-language:EN-US; font-weight:bold; mso-bidi-font-weight:normal;}div.WordSection1 {page:WordSection1;}