Corriere della Sera, 21 dicembre 2022
Europa, interessi e scandali
Che cosa insegna il caso di corruzione in cui è stato coinvolto il Parlamento europeo?
La prima lezione che si trae dalla vicenda in corso è che il Parlamento europeo conta molto di più di quanto si creda, conta tanto da mobilitare nazioni straniere e ingenti quantità di denaro per influenzarne l’attività.
La seconda lezione è che il Parlamento sa reagire e decidere sollecitamente. L’indagine della procura federale belga su accuse di riciclaggio di denaro, corruzione e partecipazione ad organizzazione criminale, relativa a ex deputati europei e al personale del Parlamento, ha condotto ad arresti compiuti il 9 dicembre. Sei giorni dopo, il 15 dicembre, il Parlamento ha adottato una risoluzione molto ampia e coraggiosa. Considerato che la condotta delle persone accusate “ha probabilmente alterato il corretto processo decisionale”, il Parlamento, oltre ad assicurare piena cooperazione all’iniziativa della procura federale belga, ha preso decisioni draconiane: istituire una commissione speciale di indagine sulle carenze delle norme su trasparenza, integrità e corruzione; avviare l’istituzione di una commissione di inchiesta; incaricare un vicepresidente del controllo sulla integrità e la corruzione all’interno del Parlamento; sollecitare la costituzione di un organismo etico già previsto nel settembre del 2021; introdurre incompatibilità successive per gli ex deputati; assicurare la trasparenza dei redditi accessori e di donazioni a parlamentari e dipendenti;
I noltre, rafforzare il registro per la trasparenza dell’Unione europea, applicandolo anche agli ex deputati e rendendolo obbligatorio; costituire un registro dei «gruppi di amicizia»; richiedere una dichiarazione della situazione patrimoniale dei deputati all’inizio e alla fine del mandato. Infine, il Parlamento ha deciso la sospensione dei lavori su tutte le materie che riguardano il Qatar e la sospensione dei titoli di accesso dei rappresentanti di quella nazione all’Unione europea.
La terza lezione della vicenda europea riguarda la cooperazione tra procura belga e Parlamento europeo. Nonostante l’asimmetria (la prima è nazionale, il secondo è organo sovranazionale), l’intesa c’è stata: si potrebbe dire che il sistema giudiziario belga sta operando in funzione europea, per la cura dell’interesse comunitario. Ecco un’altra bella prova dell’unità europea: uno Stato, quello belga, agisce nell’interesse di tutti gli altri Stati dell’Unione. Ma questa svolta nei rapporti tra singoli Stati ed Unione pone non pochi problemi: in base a quale diritto operano i magistrati belgi? Se un caso di corruzione si verificasse in organi dell’Unione stabiliti in altri Paesi, si applicherà il diritto di questi ultimi Paesi? Non si corre così il rischio di un diritto penale e processual-penale europeo ad Arlecchino?
Questi interrogativi ne introducono altri due. Il primo riguarda i rapporti tra libertà di opinione dei parlamentari europei, insindacabilità delle loro opinioni, immunità, da un lato, e diritto belga dall’altro. In quale misura possono garantirsi i giusti rapporti tra questi diversi ordini giuridici? E come risolvere le eventuali contraddizioni quando, domani, un caso analogo si presenti in un’altra zona del vasto territorio dell’Unione, e sia quindi un’altra procura a indagare? Ecco un punto del diritto europeo nel quale le pur efficaci misure da esso stabilite per assicurare il rispetto della moralità dei suoi rappresentanti e funzionari presentano qualche lacuna.
Una lacuna anche più grande è quella relativa alla rappresentanza di interessi. In tutte le società moderne operano non solo forze politiche, quelle che si chiamavano partiti, ma anche rappresentanze di interessi, gruppi, corporazioni, associazioni di categorie, circoli. Nel secolo scorso, si è cercato in molti modi di assicurare ad esse la possibilità di esprimersi in modo trasparente, qualche volta anche istituzionalizzandole. Ad esempio, per limitarci all’Italia, la Camera dei fasci e delle corporazioni (1939) doveva servire anche a dare uno sbocco ad esigenze sociali e di categoria, e così anche il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro – Cnel (1948). In altri Paesi si è preferito ricorrere a norme procedurali, come quelle statunitensi sulle cosiddette lobbies («Lobbying Disclosure Act of 1995», modificato nel 2007, che aveva a sua volta sostituito la precedente legge del 1946), in modo che esse (sono ora tra 12 e 13 mila) abbiano una voce riconosciuta, ma siano allo stesso tempo visibili, trasparenti.
Ora, la crisi generalizzata della forza rappresentativa dei partiti politici rende sempre più evidente l’assenza del riconoscimento istituzionale dell’opera svolta, in regimi pluralistici e liberali, a livello europeo e nella dimensione nazionale, dalle rappresentanze degli interessi, un riconoscimento che consentirebbe di individuare quelli legittimi e di separare quelli che sostengono le cause buone da quelli che operano oscuramente, dietro le quinte del potere per fini illeciti.
Helmut Schmidt scrisse nel 1974 che l’«Europa vive di crisi». La stessa idea fu esposta nel 1976 da Jean Monnet, che spiegò che l’Unione avanza cercando soluzioni a sempre nuove crisi. Anche questa crisi potrà essere utile all’Europa, se l’Unione saprà cogliere questa occasione per continuare l’opera che il Parlamento europeo ha iniziato approvando la risoluzione del 15 dicembre.