Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  dicembre 21 Mercoledì calendario

La Costituzione non parla italiano

La Repubblica parla italiano, ma la Costituzione non lo sa. Dice, invece, la Costituzione della Francia: Lingua ufficiale della Repubblica è il francese. Dice la Costituzione della Spagna: Il castigliano è la lingua ufficiale dello Stato. Tutti gli spagnoli hanno il dovere di conoscerla e il diritto di usarla. Dice la Costituzione del Portogallo: compito fondamentale dello Stato è assicurare l’insegnamento e la valorizzazione permanente, difendere l’uso e promuovere la diffusione internazionale della lingua portoghese. Dice la Costituzione della Romania: In Romania la lingua ufficiale è la lingua romena.
Che dice, allora, la Costituzione dell’Italia? Niente. Non dice niente sulla lingua di Dante, e continua a non dire niente, neppure dopo i 700 anni dalla morte del padre dell’italiano, e poeta universale, da poco celebrati nel 2021.
Siamo l’unica Nazione fra quelle di lingua neo-latina in Europa a non avere scolpito nella propria legge delle leggi che l’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica. Quasi un dispetto della storia, se si pensa che, di tutti i Paesi parlanti un idioma discendente ed evoluto dal latino, noi siamo gli eredi più diretti e vicini. Eppure, meglio di noi hanno fatto i fratelli spagnoli, i cugini francesi, i familiari portoghesi e romeni. Tutti hanno capito il significato e la bellezza di ricordare tra i primissimi articoli delle loro Costituzioni, che la lingua è l’identità primaria del patrimonio culturale e nazionale. A Roma da quasi trent’anni ogni legislatura prova ad aggiungere all’articolo 12 che l’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica. Sette paroline soltanto, ma importantissime. Tuttavia, la modifica costituzionale non arriva mai alla quarta votazione del Parlamento e in Gazzetta Ufficiale. Parte in una Camera e s’arena nell’altra.
Legislatori di destra (Pietro Mitolo, che aprì la strada nella legislatura del 1996), di centrosinistra e centrodestra nel 2006 e nel 2013, insomma onorevoli di ogni colore politico che nel corso del tempo hanno sempre votato l’altrui disegno di legge non sono, però, riusciti mai a portare a termine quel che è già sancito da leggi ordinarie (la 482 del 1999). E, ancor più, da norme costituzionali negli Statuti speciali del Trentino-Alto Adige e della Valle d’Aosta. Ma, soprattutto, da esemplari pronunce della Corte Costituzionale, che hanno stabilito la centralità costituzionalmente necessaria della lingua italiana, affermandone l’ufficialità e la primazia, come i giudici della Consulta hanno fatto nel 2017 con l’innovativa sentenza numero 42. Essa è citata anche nei manuali di diritto pubblico ma, con ogni evidenza, sconosciuta dai legislatori, nonostante la novità che esprime in epoca di globalizzazione e comunicazione. Il mondo che cambia, ecco la buona ragione che dovrebbe spingere il Parlamento a introdurre il principio che manca per valorizzare la lingua nazionale in Patria e all’estero.
L’italiano è la lingua che integra le persone immigrate e che Papa Francesco divulga nei suoi viaggi per i continenti. È una delle lingue più studiate nelle scuole e Università all’estero ed accomuna oltre 200 milioni di cittadini fra italo-parlanti, discendenti da italiani nel mondo e stranieri interessati per motivi geopolitici, economici, culturali a conoscere una lingua amata anche per la riconosciuta musicalità trasmessa dalle sue vocali a fine parola. Dunque, è pure attraente grazie al suo antico fascino e moderna simpatia per chi italiano non è.
Ma questa ricchezza solo da noi dimenticata, abbiamo oggi l’opportunità di rivalutare al massimo livello a beneficio della Repubblica italiana e degli italiani non meno che dell’umanità. Perché, se nella metà dei teatri dell’universo vanno in scena opere italiane cantate in italiano da grandi artisti italiani e stranieri, come accade, è paradossale che il Belcanto planetario resti senza culla proprio dov’è nato. Ora, con un governo che si può immaginare sensibile alla lingua nazionale e un parlamento che dal 1996 in avanti ha sempre confermato il suo consenso trasversale senza riuscire a portarlo fino in fondo, potrebbe essere questa legislatura a intestarsi la norma che colloca definitivamente la lingua italiana in Costituzione.