la Repubblica, 21 dicembre 2022
Le verità di Dylan: “La creatività è disinteresse”
Tra le molte vite di Bob Dylan, cantautore, pittore, vincitore di dieci Grammy, un Oscar e il Nobel per la Letteratura, non c’è quella in streaming. In una lunga intervista al Wall Street Journal, a ottantuno anni l’artista americano parla delle nuove tecnologie e le rigetta quasi tutte. Boccia la musica contemporanea, «fatta per l’establishment», «troppo facile da ascoltare». Meglio il vecchio jukebox, la profondità del solco, meglio il fruscio alla perfezione del suono digitale. Meglio compositori come Hoagy Carmichael e Irving Berlin di un algoritmo. Frank Zappa era «anni luce avanti al suo tempo». Meglio le ballate, l’hillbilly, il country blues, i Mills Brothers, Bill Monroe, il boogie-woogie, Jimmy Webb o Janis Martin, la Elvis Presley donna.
«Le musiche erano semplici – racconta – facili da capire. Ti entravano direttamente, ti lasciavano vedere il futuro». Adesso, aggiunge, non è più così: la musica è ovunque e da nessuna parte, è digitale e incorporea. Anzi, è l’estensione del nostro corpo e allo stesso tempo «bara della civilizzazione». «Ai giorni nostri ascoltiamo la musica con i cd, le radio satellitari e in streaming. Io amo il suono del vecchio vinile, specialmente su un giradischi. Ne comprai tre – ricorda – in un negozio in Oregon trent’anni fa. La qualità è potente e miracolosa, mi riporta indietro ai giorni in cui la vita era differente e imprevedibile».
Riflessioni dell’autore di Blowin’in the wind e Hurricane sono contenute nel libro Filosofia della canzone moderna, uscito a novembre, il primo dopo aver vinto il Nobel e diciotto anni dopo Chronicles, che diventò bestseller. Una versione più lunga dell’intervista è sul suo sito, bobdylan.com. Sono riflessioni spesso malinconiche di un uomo dalle cento vite, ma non digitale. La musica in streaming, dice, è «troppo morbida e senza dolore», «parodia della vita reale». Un rilevatore di raggi X per «trovare il cuore di qualcuno, se ne ha ancora uno». Per essere creativi, spiega, bisogna essere «poco socievoli» e un po’ «repressi», ma non violenti. Solo «poco amichevoli e distratti». Lui scrive canzoni solo «quando lo stato d’animo» è forte e lo colpisce al cuore, non con la routine del mestierante.
«Il mio metodo è trasportabile – confessa – Posso scrivere canzoni ovunque e in qualsiasi momento». La prima musica che lo ha folgorato è stata quella sacra. Quella che ancora oggi diventa brano da incidere gli risuona dentro per giorni. Le leggi del tempo non si applicano a Dylan. La tecnologia è routine, creatività senza battito, non lo aiuta. «Rilassa – aggiunge – e io sono troppo rilassato. La maggior parte del tempo mi sento come una ruota a terra, senza motivazioni, ho bisogno di tempo per essere stimolato».
Sono altre le strade che lo riportano a casa e hanno i nomi di vecchi spettacoli tv in bianco e nero come Coronation Street, soap degli anni 60, o le prime puntate di Twilight Zone, serie nata alla fine dei 50. E per tenersi in forma, pensate che lui utilizzi qualche app? No, guantoni e sacco, uno spazio giochi senza limiti. In questa dicotomia tra presente e passato non potevano mancare i social. «Portano felicità a molte persone – dice – alcuni scoprono persino l’amore, è fantastico se sei una persona socievole, puoi cancellare ricordi e cambiare la storia». Ma aggiunge, tornando al suo blues esistenziale, «i social possono anche dividerci e separarci».