la Repubblica, 21 dicembre 2022
Lo sciopero nell’antico Egitto
Tebe, capitale religiosa e città dinastica per i sovrani del Nuovo Regno, subisce profonde trasformazioni nel periodo che va dal XVI secolo alla fine del secondo millennio antecedente alla nostra era. Sulla sponda orientale vengono via via ampliati i monumentali templi di Karnak e di Luxor per onorare la divinità locale, Amon, ormai ascesa a un ruolo primario a livello nazionale. Nella sponda orientale vengono, invece, costruite le tombe dei sovrani e per perpetuare il culto dei faraoni si innalzano templi funerari. Tebe diventa davvero una delle grandi capitali del mondo antico e le tombe cosiddette «dei nobili» ci permettono, attraverso le loro decorazioni policrome, di cogliere alcuni aspetti della vita di corte. La cultura materiale scritta e in particolar modo i papiri del Periodo Ramesside ci fanno, altresì, comprendere come profonde crisi economiche e sociali abbiano sconvolto quella che definiamo la fine del Nuovo Regno.
Un documento eccezionale è conservato al Museo Egizio, il cosiddetto Papiro dello Sciopero. In questo testo troviamo la registrazione di proteste da parte dei lavoratori impegnati nella costruzione delle tombe regali, i quali, affamati, chiedono che vengano ascoltate le loro ragioni. Autore del papiro è lo scriba Amennakht, conosciuto anche per aver tenuto un registro per documentare la mancata o parziale consegna delle razioni. Lettura affascinante è costituita dai documenti che contengono un resoconto dei grandi saccheggi operatia danno delle necropoli dei faraoni.
Alla fine della XX dinastia avvengono infatti furti sistematici nelle tombe regali. Gruppi di abitanti di Tebe saccheggiavano periodicamente i sepolcri dei sovrani e le autorità rafforzarono i controlli, le indagini e i processi nel tentativo di fermare le violazioni, annotando tutto quello che mancava da ogni singola sepoltura. Le testimonianze dei colpevoli sono davvero interessanti. I sospettati venivano interrogati sotto tortura e la loro voce è l’unica testimonianza che abbiamo delle classi subalterne e delle difficoltà in cui si trovavano a vivere. I templi e le tombe costruiti in pietra sono tutto ciò che ci rimane di questa antica capitale. Le abitazioni in mattoni crudi sono in gran parte scomparse e con loro gli archivi familiari, i documenti amministrativi e gli oggetti personali testimoni delle loro vite. Potremmo dire che tutto ciò che faceva parte della vita quotidiana è andato perduto con poche eccezioni, paradossalmente dovute a oggetti rinvenuti in tombe e templi. Un’importante scoperta è l’insediamento di Deir el-Medina, sede di operai e artigiani, che scavarono e decorarono le tombe regali, e dalle loro famiglie. Il villaggio di Deir el-Medina, situato nel deserto vicino alle necropoli, si trovava a un’altezza di circa cinquanta metri rispetto alla pianura alluvionale. Esso venneprobabilmente abbandonato alla fine del Nuovo Regno, anche se in Epoca Tolemaica si costruì nell’estremità nord dell’insediamento un tempio dedicato alla dea Hathor, nelle cui vicinanze i monaci copti costruirono in seguito un monastero, tanto che il nome Deir el-Medina significa: «il monasterodella città». Lastoria del villaggio durante il Nuovo Regno è paradigmatica per comprendere come veniva organizzato il lavoro in questa comunità particolare. Per ragioni amministrative i lavoratori erano suddivisi in due squadre, quella di destra e quella di sinistra, che corrispondevano al lato in cui operavano nella tomba reale in costruzione.
Nella comunità locale i responsabili delle due squadre, così come lo scriba, avevano un ruolo prominente. Questi ufficiali, chiamati capitani, non soprintendevano soltanto il lavoro ma godevano anche di una certa autorità all’interno del villaggio. Avevano per esempio il potere di promuovere gli operai o di liberare alcuni di loro dai loro compiti ordinari perché avessero del tempo libero per portare a termine i loro progetti privati. Erano, inoltre, pagati con razioni superiori agli altri che ricevevano, invece, uncompenso uguale e vedevano assegnate loro abitazioni equivalenti.La carriera di ciascuno di loro po teva però variare. Alcuni svolgevano funzioni amministrative considerate dirango inferiore come quella di guardiano. Tra gli artigiani vi erano coloro che componevano la decorazione delle tombe e chedovevano essere degliartisti capaci e al contempo avere un livello di alfabetizzazione necessaria per trascrivere i testi geroglifici sulle pareti delle tombe. A costoro poteva anche essere richiesto di tenere un registro amministrativo della loro squadra. Un altro lavoro qualificato era costituito dagli scultori che dovevano trasformare l’opera dei disegnatori sulle pareti in basso rilievo. I disegnatori decoravano, poi, con vari pigmenti i rilievi e contribuivano così alla costruzione di questo microcosmo dove il sovrano defunto poteva intraprendere il suo viaggio nell’aldilà. Vi erano anche mansioni molto dure come quella di coloro che scavano le tombe nella roccia, intagliando le pareti e liberandole da tutti i detriti di scarto. Erano necessari anche falegnami per costruire impalcature che permettessero a pittori e scultori di raggiungere la parte alta delle pareti e il soffitto. Il numero totale di lavoratori poteva variare. Un documento preservato al Museo Egizio ci informa che Ramesse IV accrebbe il numero degli operai a centoventi.
Nella tomba le attività si succedevano in modo frenetico e poteva così avvenire che mentre all’ingresso pittori e scultori erano intenti a ultimare la decorazione, nelle parti più profonde della tomba gli operai stessero ancorascavando nella roccia liberando dai detriti spaziche sarebbero divenuticamere sepolcrali. Per comprendere al meglio il cantiere, è utile leggere ilGiornale della Necropoli, dove troviamo registrazioni accuratedei materialiche venivano consegnati, appunti rispetto a visite da parte di autorità esterne, documentazione di incidenti avvenuti duranti i lavori nelle tombe.
Sono pervenuti fino a noi anche diversi disegni delle sepolture ma il documento più completo è una pianta della tomba di Ramesse IV, conservato a Torino. Il papiro, presentato in forma inedita a Vicenza, racconterà il processo di costruzione della tomba da parte degli operai di Deir el-Medina. Il loro lavoro non consisteva semplicemente nel realizzare uno spazio architettonico ma di creare un microcosmo, quella pr n D.t (casa per l’eternità) che avrebbe concesso al sovrano di intraprendere il suo viaggio nell’aldilà e di accompagnare il sole nel suo periplo attorno alla terra.
(L’autore è direttore del Museo Egizio di Torino)