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 2022  dicembre 21 Mercoledì calendario

L’ultima Jugoslavia di Sinisa Mihajlovic

“Di fronte all’estrema nemica non vale coraggio o fatica. Non serve colpirla nel cuore perché la morte mai non muore”
(La morte, De André).
La morte di Mihajlovic. Che Sinisa Mihajlovic, serbo dalla cima dei capelli alla punta dei piedi, sia stato un coraggioso combattente in campo e fuori e sino alla fine lo hanno detto tutti, ma, per riprendere De André, “di fronte all’estrema nemica non vale coraggio o fatica” come ha confermato uno dei suoi medici, il professor Cavo, di fronte a una leucemia acuta mieloide “l’atteggiamento del paziente non conta”.
Ma non scrivo qui per cantare le lodi del grande Sinisa, come uomo e come calciatore, delle sue doti agonistiche, delle sue punizioni micidiali, delle sue vittorie e delle sue sconfitte, ma dell’indegno trattamento di cui, per motivi politici estranei al calcio, fu vittima insieme all’intera squadra jugoslava nel 1992. Era quella la splendida Jugoslavia degli Stojkovic (serbo), dei Savicevic (montenegrino), del basilare bosniaco Bazdarevic (basilare perché in una squadra in cui tutti, anche i difensori, per temperamento, erano portati all’attacco, dava un po’ di ordine al gioco), dei Prosinecki (croato), degli Jugovic (serbo). Mihajlovic giocava ala e aveva il numero 11. Boban (croato) faceva, se non mi sbaglio, il libero. L’allenatore era l’ottimo Osim, bosniaco. Il dream team, come veniva chiamato, aveva vinto tutte le partite di qualificazione agli Europei del 1992 e noi le avevamo viste perché c’era ancora Capodistria che ovviamente dava le partite della Nazionale jugoslava. I giocatori erano già in Svezia quando l’Onu decise che la Jugoslavia, dove era iniziata la feroce guerra fra serbi, croati e musulmani, non esisteva più e i ragazzi furono quindi cacciati con ignominia.
Io ho sempre scritto che eventi sportivi, di qualsiasi genere, e politica devono rimanere assolutamente separati e questo è anche il pensiero di Thomas Bach, il presidente del Comitato olimpico internazionale, che ha dichiarato: “Ciò che non abbiamo mai voluto fare è proibire agli atleti di gareggiare solo a causa del loro passaporto. Dobbiamo tornare ai meriti sportivi, non all’ingerenza politica”. Bach aveva anche fortemente criticato l’esclusione del tennista russo Medvedev, formalmente numero uno al mondo (in realtà il numero uno oggi è il serbo, serbissimo, Djokovic), da Wimbledon a causa della guerra russo-ucraina.
In realtà fra Stojkovic, il più campione, che non era ancora capitano, lo era il più ragionatore Bazdarevic, e tutti gli altri della squadra c’era una solida amicizia, gli avvenimenti della guerra non avevano toccato il campo di calcio. Si poteva quindi dare all’infamata Jugoslavia un nome e una bandiera diversi, com’è stato fatto in altre occasioni.
Il più scarso in quella squadra era il centravanti Pancev, macedone, che segnava gol a grappoli, ma avendo affianco due geni come Stojkovic e Savicevic tutto gli era facile. Infatti quando lo prese l’Inter, parecchio propensa agli abbagli (Lukaku docet), non segnò più.
Quei ragazzi non ebbero fortuna. Stojkovic fu acquistato dal Verona. Pur essendo un giocatore di classe finissima era pur sempre un serbo che giocava da serbo e si prese quasi subito cinque giornate di squalifica. Savicevic, acquistato dal Milan, fu messo da Berlusconi a palleggiare nel parco di Arcore perché aveva già i tre olandesi, Van Basten, Gullit, Rijkaard, e allora vigeva la regola che una squadra non poteva far giocare più di tre stranieri.
La nemesi per Sinisa Mihajlovic arriverà molti anni dopo, con la leucemia. Per niente casuale a mio avviso. Dei soldati italiani impegnati nelle varie guerre jugoslave 7.600 si sono ammalati di cancro e 400 ne sono morti a causa dei proiettili all’uranio impoverito usati dalla Nato. Eppure i nostri soldati erano avvertiti del pericolo e prendevano le giuste precauzioni. I bambini no e andavano a giocare con i bossoli contaminati. Quanti ne siano morti non si sa. Si sa però che la Corte suprema di Belgrado ha denunciato la Nato per l’uso dei proiettili all’uranio impoverito. Però gli americani, a differenza degli altri Paesi, rifiutano di essere portati davanti al Tribunale internazionale dell’Aja per “crimini di guerra”. Loro “crimini di guerra” non ne commettono, non sia mai.
Comunque la Serbia ha in Europa il record di malattie oncologiche, a dieci anni dall’aggressione Nato alla Serbia 30 mila si sono ammalati di cancro e 10 mila ne sono deceduti. In questa rete di morte è stato evidentemente impigliato anche Sinisa Mihajlovic.
Facciamo un passo avanti. Negli Europei del 2000 la Serbia affrontava l’Olanda che aveva un’ala fortissima, Overmars. Il ct della Jugoslavia, che si chiamava ancora così perché il Montenegro non si era staccato, era un indementito Boskov (che oltre che allenatore era stato anche un grande giocatore, nel film Papà in viaggio d’affari di Kusturica c’è una radiocronaca dove si sente il suo nome) che pensò bene di spostare il suo fortissimo centrale Dukic su Overmars mettendo al centro della difesa Mihajlovic. Sinisa, da sempre attaccante, non era abituato a quel ruolo. Il risultato fu che il centravanti dell’Olanda Kluivert, non esattamente un asso, fece 4 gol, togliendo così il primato dei gol segnati in Nazionale a Ruud Van Nilstelrooij. Ma questa è un’altra storia, di un altro grande campione sfortunato.