il Fatto Quotidiano, 21 dicembre 2022
Intervista a Joyce Carol Oates
“Mi divido tra insegnamento e scrittura. Sono esperienze parallele. Mi piace il rapporto con gli studenti. Mi stimola leggere con loro Joyce o Kafka”. Joyce Carol Oates è a casa, a Princeton. Dal 1978 insegna scrittura creativa in questa prestigiosa università Ivy League, dove ha formato generazioni di narratori (Jonathan Safran Foer è stato, tra gli altri, suo studente). La scrittura rimane però il centro della sua vita. Un suo romanzo, Babysitter, è appena stato pubblicato negli Stati Uniti. Un altro è in uscita per marzo 2023. “La scrittura è un’esperienza totalizzante. Quando scrivo, non c’è altro” dice, e sorseggia del tè. Classe 1938, Oates è tra le grandi scrittrici americane. Si è misurata col romanzo, i racconti, la fiction per bambini, la critica letteraria, il teatro, la poesia. Alcuni suoi romanzi, Loro, Una famiglia americana, Blonde, sono entrati nel canone letterario statunitense. Un critico, Anthony Grafton, ha detto: “Il suo lavoro rivaleggia con quello di scrittori come Balzac e Dickens. Per estensione, profondità, potenza”. Carbonio editore presenta ora in Italia Notte al neon (la traduzione, bella e intensa, è di Claudia Durastanti), una raccolta di nove racconti pubblicati in tempi e occasioni diverse. Sono pagine che confermano la grandezza di Oates nel tessere mosaici ricchi di mistero; la sua capacità di inquietare il lettore con storie dai contorni indefiniti, con personaggi smarriti, confusi, sull’orlo di un precipizio esistenziale o psicologico.
Signora Oates, Notte al neon è l’ultimo tra i 9 racconti del libro. Narra di una ragazza che sta per dare alla luce un bambino, dopo una vita di abusi e violenze. Perché lo ha scelto per dare il titolo alla raccolta?
Mi piaceva il suo carattere noir. Allude alla notte, a una relazione amorosa, a ciò che resta di incomprensibile nelle nostre vite. La giovane donna del racconto potrebbe avere una vita normale, dei figli e un marito, ma sceglie di esplorare il suo lato oscuro.
Nel primo di questi racconti, Deviazione, una donna si perde in aperta campagna, finisce in una casa isolata, prigioniera di un uomo e di una realtà allucinata. Questa dimensione confusa, enigmatica, è la cifra più forte della raccolta?
Sono le nostre vite a essere enigmatiche. Volevo che il lettore iniziasse questo libro con una “deviazione” dai sentieri più familiari. Il racconto prende spunto da qualcosa che mi è successo. Guidavo nella campagna attorno a Princeton; una deviazione stradale mi ha portato lontano. Non riconoscevo più nulla. Mi è sembrata un’immagine perfetta della vita: un evento inatteso ci fa precipitare in qualcosa di sconosciuto e potenzialmente terrorizzante.
Nelle sue opere la suspense è spesso creata non con la rappresentazione della violenza, ma con il racconto di ciò che avviene dopo la violenza. Succede in uno dei racconti, Udienza per la libertà condizionata, in cui una delle “ragazze di Manson”, colpevole della strage in casa di Sharon Tate, chiede la libertà condizionata ma finisce per esaltare la strage. Come è nata l’idea?
L’occasione è stata il cinquantesimo anniversario del processo a Manson. Ma mi interessava costruire un personaggio di donna che implora il perdono ma che poi non ce la fa, perché il male che è dentro di lei riemerge. Penso che il male, in certi casi, non possa essere riformato.
In un altro racconto, Miss Golden Dreams 1949, lei immagina un clone ricreato attraverso il Dna di Marilyn Monroe, già protagonista di uno dei suoi romanzi, Blonde. Perché continua a tornare a questa figura?
Perché Marilyn risplende ancora oggi, luminosa, sui media, nella pubblicità. Eppure ci sono pochi altri personaggi nella storia americana che sono stati così brutalizzati. La sua realtà di donna fu lontanissima dalla mercificazione cui il suo mito l’ha costretta.
Nella sua carriera di scrittrice si è misurata con romanzi, romanzi brevi, racconti. Come lavora sulle diverse forme?
Quando inizio una storia, so sempre se si tratterà di un romanzo o di un racconto. È diversa l’idea di partenza. I racconti possono avere anche un solo personaggio. Un romanzo ha bisogno di molti personaggi e si svolge su un arco di tempo più ampio. Quando inizio un romanzo, traccio uno schema e spesso mi avvalgo di una mappa geografica dei luoghi che racconterò. Per il resto, mi piace giocare con le strutture. Compongo, scompongo, cambio l’ordine, come in un puzzle.
La critica ha spesso celebrato la sua capacità di raccontare le tante facce dell’“identità americana”. C’è però qualcosa che definisce in modo unico la sua enorme produzione narrativa?
Sono portata a drammatizzare gli eventi. Provo una sorta di affinità con il drammaturgo, lo sceneggiatore. E mi piacciono le situazioni di frattura degli equilibri, i momenti in cui ci troviamo in bilico tra ciò che sappiamo essere il bene e ciò che ci porta verso la nostra parte più oscura. Freud diceva che tra amore e morte esiste una tensione continua. Le mie storie oscillano tra questi diversi slanci, eguali e opposti.
Un’ultima cosa. Lei ha un account Twitter con oltre 220 mila follower, su cui spesso posta commenti di attualità politica. Recentemente, ha ritwittato un post coi risultati dell’amministrazione Biden. Che giudizio dà di questi anni di governo democratico?
Buono. Considerata la radicalità dell’opposizione repubblicana – su sanità, educazione, riforma elettorale – i democratici hanno governato bene. Joe Biden è un uomo tranquillo, così diverso dal suo predecessore, che era un clown. Può apparire sottotono. Ma non è così. Ha trasmesso l’immagine di un’America tranquilla.