La Stampa, 21 dicembre 2022
Valeria Golino: «Ho studiato da bugiarda»
Dalle pagine di Elena Ferrante il personaggio di Vittoria, la zia irragionevole e impetuosa che lancia, senza paracadute, la nipote Giovanna (Giordana Marengo) in un mondo opposto a quello in cui è cresciuta, si staglia netto, fin dalla prima apparizione: «Vittoria – riflette, nel libro, la ragazza - mi sembrò di una bellezza così insopportabile che considerarla brutta diventava una necessità». Il compito di portare Vittoria sullo schermo, nella serie tratta dalla Vita bugiarda degli adulti (Edizioni E/O), diretta da Edoardo De Angelis, prodotta da Fandango e dal 4 gennaio su Netflix, era una sfida complessa da cui Valeria Golino è uscita vincitrice, talmente perfetta da entrare in competizione con la Vittoria immaginata da chi ha letto il romanzo. Seguendo il suo passo risoluto, le debolezze, le incongruenze, si entra, sull’orizzonte della Napoli Anni ’90, in quello che De Angelis descrive come «vortice melmoso di adulti ossessionati dall’autorappresentazione di se stessi come giusti, onesti, sinceri». Dalla palude Giovanna uscirà scoprendo che «la sola verità possibile sta nella bellezza di una bugia piena di desiderio».
Come si è preparata al ruolo?
«E’ stato un impegno lungo, delicato e anche ansiogeno. Vittoria è un personaggio a me molto estraneo. Ho lavorato sul linguaggio, sul corpo, sullo spazio, per fare una scena brevissima in cui suono la fisarmonica mi sono preparata mesi ».
Conosceva il personaggio prima di girare la serie?
«Sì, avevo letto il romanzo e una volta, parlandone con il produttore Domenico Procacci, quando l’idea della serie ancora non esisteva, gli avevo detto "se avessi tette enormi mi proporrei subito per questo personaggio straordinario"».
In che cosa consiste il fascino di Zia Vittoria?
«E’ una figura così capace di disobbedire, di stare nel torto, di essere sguaiata, esagerata, sbagliata, tenera e insieme arcigna. Non mi era mai capitato di avvertire la libertà di essere brutta, troppo truccata, di esporre una superficie così, che sullo schermo conta molto, e poi, nello stesso tempo, di rappresentare il mentore di una ragazza tanto giovane, di condurla verso qualcosa di giusto, arcaico, carnale».
Come si è trovata sul set con Edoardo De Angelis?
«Non mi diceva mai niente, aveva un approccio talmente misterioso, ho capito solo più tardi che era il suo modo di conoscermi. Mi ha accolta, ha creato intorno a me un ambiente rassicurante, mi ha dato la possibilità di sbagliare, non mi sono mai sentita imbarazzata, giudicata, a disagio».
Ha avuto anche lei, come gli autori, rapporti epistolari con l’autrice?
«No, ma chiedevo sempre al regista che cosa si dicevano, ero molto curiosa di saperlo».
In tutti i romanzi di Ferrante, c’è un sottotesto sociale e politico importante. Anche qui?
«La politica è sempre insita in quello che Ferrante scrive, non è evidente, ma è presente anche qui, il suo racconto è "naturalmente" politico».
Esiste un tipo particolare di femminilità napoletana?
«Esiste di sicuro un essere napoletano. Napoli è una città con tradizioni, caratteristiche, mentalità, culture talmente forti da permeare chi ci vive. La femminilità che rappresento in questa serie è un po’ archetipica, è popolana, aggressiva, verace. Il bello è che, accanto alla femminilità di Vittoria, c’è quella di sua nipote Giovanna che ne ha una tutta diversa, che io 30 anni fa non conoscevo ed esprime una sorta di evoluzione della specie».
Vittoria parla di sesso senza giri di parole. Come è stato interpretare quei monologhi?
«E’ letteratura, quando un attore ha a che fare con parole, anche sporcaccione e spudorate, inserite nella musica della creatura di una grande scrittrice, pronunciarle diventa un piacere. Anche se scabrose, le parole di Vittoria sono facili da dire. Per me la difficoltà era in quel tipo di dialetto, e comunque ho trovato molto interessante la scelta di far parlare una donna in quel modo».
Che rapporto ha con la bugia?
«Un bravo attore non deve essere un bravo bugiardo, però di solito lo è. Per quanto mi riguarda penso che, se necessario, la bugia è una cosa importante, mentre l’onestà a tutti i costi non è edificante. Poi esistono tanti modi di essere bugiardi, c’è anche la mitomania, ma quelle forme non mi interessano. Di Vittoria ho pensato che fosse l’unica a dire sempre la verità, non pensavo che anche lei mentisse».