La Stampa, 21 dicembre 2022
Rai, la lista della Meloni
La lista di Giorgia. Tutti ne parlano in Rai. Nomi e cognomi di giornalisti e opinionisti graditi alla premier e agli uomini di Fratelli d’Italia. Nuovo vento, nuovo corso. In realtà non è una novità delle ultime settimane, perché di queste liste, vergate e supervisionate da Meloni, e poi inviate ai direttori, e quindi girate ad autori e conduttori, si sapeva già dalla primavera, quando FdI era ancora un partito di opposizione, ma in crescita.
Ora, però, è al governo, e Meloni guida la regia dei programmi Rai direttamente da Palazzo Chigi. Questa sera, per dire, alla presidente del Consiglio sarà dedicato uno spazio speciale, dopo il Tg1 delle 20, con un’intervista di Bruno Vespa, a cui potrebbe andare la striscia quotidiana che fu di Enzo Biagi. Appena tre anni fa, come ricorda l’ex segretario della Vigilanza Rai Michele Anzaldi, il partito della premier si scagliò contro «la scandalosa intervista» di Giuseppe Conte andata in onda nello stesso orario, e per la quale furono stravolti i palinsesti: «E oggi l’amministratore delegato Carlo Fuortes fa lo stesso con Meloni».
Il manager è accerchiato. In generale, La pressione di FdI si è fatta maggiore, così come la disponibilità dei dirigenti e l’imbarazzo di chi nei talk show riceve l’elenco degli ospiti. C’è un precedente, noto a chiunque lavori in tv. Anche Matteo Renzi, quando guidava il Pd e, insieme, il governo, faceva preparare liste con giornalisti di area perché, dicevano nel suo staff, «servono a riequilibrare le trasmissioni», non solo in Rai, ma anche a La7 e a Mediaset. Argomenti identici a quelli usati dai collaboratori di Meloni.
Corsi e ricorsi della politica italiana e dei partiti che, a turno, sono ansiosi di mettere le mani sulla televisione pubblica. L’elenco caro alla premier è stato aggiornato nel passaggio dall’opposizione al governo. La short list piovuta in primavera riporta nomi più o meno noti e volti ormai incastonati nei talk: Francesco Borgonovo, vicedirettore de La Verità; Edoardo Sylos Labini, attore e presidente dell’Associazione Cultura e Identità; il pupillo della destra sovranista Francesco Giubilei, consigliere del ministro della Cultura, ed ex direttore del Tg2, Gennaro Sangiuliano; Laura Tecce, promossa a conduttrice; il giornalista Antonio Rapisarda, il sociologo Guerino Nuccio Bovalino, e Marco Gervasoni, professore e polemista su La Voce del patriota, cantore dei conservatori contro «l’ingannocrazia delle sinistre». Qualcuno è un po’finito in ombra, anche per qualche esagerazione di troppo, che ha persuaso i meloniani a prenderne le distanze. Gervasoni, per esempio, è stato indagato per gli insulti rivolti al presidente Sergio Mattarella. Dunque, meglio tenerlo lontano dal piccolo schermo. Anche se lui, come altri, erano stati utili ai tempi più duri della pandemia per veicolare le posizioni di FdI contro l’obbligo dei vaccini. Nella lista aggiornata dopo la vittoria elettorale, ci sono figure che appaiono meno abrasive. C’è il giornalista Marco Antonellis, l’ex direttore del Tg2 Mauro Mazza, il direttore del quotidiano Il Tempo Davide Vecchi, il professore di filosofia Benedetto Ippolito, grande frequentatore dei salotti tv. Si mescolano nomi che un tempo sarebbero stati considerati in quota Lega o Forza Italia. Ma così è, quando passa il carro del vincitore.
Bastava comunque dare un’occhiata a chi c’era sopra o intorno al palco della festa per i dieci anni di FdI a Piazza del Popolo, a Roma, per capire la voglia di Rai che c’è nel partito di Meloni. Sylos Labini che chiedeva di portare La pioggia nel pineto di Gabriele D’Annunzio a Sanremo 2023 e che ieri ha rincarato la dose contro «la trap un po’fluid». Gennaro Sangiuliano, costipato e collegato da casa, che evocava un’egemonia nazionale identitaria non esterofila e contro il politicamente corretto. Lo stesso Sangiuliano che, a detta di due fonti interne al Tg2, nelle settimane subito successive alla nomina a ministro, nella vacatio che ha preceduto l’indicazione di Nicola Rao alla direzione, ha continuato a chiamare i suoi vecchi collaboratori e a interessarsi dei servizi del telegiornale.
Sul palco di FdI c’era anche Paolo Petrecca, l’uomo che, nel giro della lottizzazione gestita da Palazzo Chigi ai tempi di Mario Draghi, è stato piazzato da Meloni alla testa di Rainews24. Interrogato sul futuro dell’istruzione, il direttore della testata all news (della quale spiega di aver «stravolto una prerogativa culturale moderatamente di sinistra») chiede a gran voce «un nuovo progetto culturale», per evitare quello che è capitato a suo figlio «che alle scuole medie veniva educato all’antifascismo, alla cultura che nel dopoguerra parla solo dei partigiani e non di foibe». Un direttore della tv di una Repubblica fondata su una Costituzione antifascista che ne stigmatizza la radici educative e culturali? Applausi scroscianti dal pubblico. L’intervento si chiude con un appello ai suoi ospiti: «Noi dobbiamo fare una rivoluzione culturale e spero che voi al governo la facciate presto». Parole che hanno scatenato la reazione di giornalisti, al punto che la sua redazione e l’Usigrai, il sindacato interno della Rai, hanno rivolto una domanda a Fuortes e al Cda: «Tutto questo è accettabile da parte di un direttore del servizio pubblico?». Fuortes non si è espresso pubblicamente. L’ad continua a nicchiare e mandare segnali al nuovo governo. Il suo mandato scade nel 2024. Meloni non si fida. È noto che vorrebbe affiancargli Giampaolo Rossi, l’uomo Rai per conto di FdI, già consigliere di amministrazione, estromesso all’ultimo cambio del Cda. La questione investe anche il Parlamento. A oltre due mesi dall’inizio della legislatura, i membri della Vigilanza Rai ancora non sono stati nominati. Per prassi, la presidenza andrebbe all’opposizione, e il candidato più probabile resta l’ex ministro Stefano Patuanelli del M5S. FdI, però, blocca tutto. La logica del partito di Meloni è questa: finché il Cda resta di fatto in mano alla sinistra, viene meno il principio di dare alle opposizioni una commissione di garanzia. Detto in altre maniere: finché Fuortes resta al suo posto, o comunque non accetta di essere commissariato, difficilmente si sbloccherà la questione.