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 2022  dicembre 20 Martedì calendario

I 52 rifugi nella metropolitana di Kiev

«Ma è suonato l’allarme?». Basta guardare per capire. Decine di persone che, in ordine e senza scomporsi, entrano nella stazione della metro più vicina. Vive così da dieci mesi ormai Kiev, in bilico tra la superficie e il sottosuolo. E, quando i droni iraniani volano sulla città, tutti fanno la cosa più sensata. Scendono sotto terra.
Viktor Vyhovsky è l’ingegnere capo della metropolitana e di questa ragnatela di tunnel e vie di fuga conosce ogni segreto. «La rete è stata progettata fin dall’epoca sovietica non solo come mezzo di trasporto ma anche come rifugio e strumento di protezione civile. Le stazioni dispongono di sistemi di ventilazione e filtraggio speciali, nonché di spesse porte blindate in metallo che possono essere sigillate ermeticamente», spiega. In pratica, dei rifugi antiatomici.
All’epoca della costruzione della metro di Kiev, il nemico da cui proteggersi era la Nato. Poi, quando la Russia ha iniziato l’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio, dentro le 52 stazioni si sono riversate 40 mila persone. Alcune di loro sono rimaste lì per settimane, trasformando le banchine e i vagoni in veri e propri accampamenti improvvisati, utilizzando bagni e docce solitamente dedicati al personale della metropolitana, consumando cibo e acqua consegnati da operatori umanitari e volontari locali.
Otto mesi dopo, quando la Russia ha dato il via a una nuova campagna di bombardamenti che è ancora in corso e che vede missili da crociera e droni kamikaze iraniani lanciati contro la capitale e le infrastrutture critiche di tutto il Paese, le stazioni – alcune situate a quasi 100 metri sotto terra sono tra le più profonde al mondo – diventano ancora una volta un luogo di rifugio per migliaia di cittadini e per i loro animali domestici. «Ormai sono abituata e mi porto dietro il tappetino da yoga, così non mi sporco i vestiti se devo stare seduta per terra», racconta Olga, studentessa di Scienze Politiche, mentre chiacchieriamo durante un’allerta sulla banchina della stazione di Zoloti Vorota, vicino alla Porta d’oro. «Ma vedo anche tanti che hanno con sé un libro da leggere o qualcosa per ascoltare la musica. Se qualcuno ha portato una chitarra ci si mette a suonare o si canta l’inno ucraino, come è successo a ottobre». Durante i raid, la circolazione dei treni viene sospesa – soprattutto quella dei treni che passano sull’altra riva del Dnipro – e l’accesso alla stazione diventa gratuito. C’è chi si siede sulle scale mobili ferme, chi utilizza un seggiolino pieghevole e chi si sdraia e dorme. I rider di Glovo ne approfittano per fare una pausa. Ma ci sono anche tanti che decidono di risalire e finire la consegna anche se l’allerta non è finita.
Il tempo di attesa potrà essere lungo. Se dovesse saltare la corrente non ci sarà più connessione ai cellulari. «Ma finché c’è luce, c’è speranza», scherza Olga. Si ride nella metro di Kiev perché mai, per nessuna ragione, ci si può concedere il lusso di lasciarsi andare al panico, soprattutto nel sottosuolo. «Guàrdati intorno, tutti in silenzio che scrutano i loro cellulari», mi fa notare Olga.
Quando la metropolitana ha ripreso a funzionare, il 23 aprile, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha scelto la stazione di Khreshchatyk nel centro di Kiev e a pochi passi dal palazzo presidenziale, per tenere una delle sue poche conferenze stampa. Dove è tornato all’inizio di novembre per un’intervista con il conduttore televisivo americano David Letterman al quale ha spiegato: «Siamo qui perché questo è il luogo più sicuro della città». Sempre qui gli U2 hanno tenuto il loro concerto a maggio, e sabato scorso è stato selezionato il duo ucraino che parteciperà a Eurovision.
La metropolitana che prima della guerra era, come accade nel resto del mondo, rifugio di senza tetto e di invisibili, ora è il centro della città, simbolo di resistenza tenuto in enorme considerazione. Tanto che lunedì la Banca europea per gli investimenti e le autorità di Kiev hanno firmato un memorandum d’intesa. Obiettivo riconoscere l’urgente necessità di investire fino a 950 milioni di euro per innovare le carrozze di epoca sovietica e per far fronte alla manutenzione che fino a gennaio era quasi tutta basata su pezzi e forniture russe.
L’allerta è finita. Si risale in superficie. Anche questo pericolo è passato. Si può tornare a vivere ancora un po’. Quasi dispiace però lasciare il caldo di quel ventre di marmo e ferro. All’uscita dai tornelli ci sono -5 °C. E il vento di ghiaccio spazza la strada.