il Giornale, 20 dicembre 2022
Pautasso, il letterato-editore che costruiva libri di successo
È stato a lui a creare il fenomeno editoriale di Fantozzi: Paolo Villaggio aveva scritto dei racconti sui giornali, lui capì che le tragicomiche avventure di quel buffo ragioniere erano – seppure ingigantite – le disavventure quotidiane di tanti di noi. Poi arrivarono anche i film diventati di culto, a dimostrazione del suo fiuto.
È stato lui a seguire pagina per pagina, correzione dopo correzione, consiglio su consiglio, l’intrattabile Oriana Fallaci quando stava scrivendo il suo libro più difficile, Un uomo, uscito per Rizzoli nel 1979.
Ed è stato lui a cambiare faccia, destino e scrittura a decine e decine di romanzi e di saggi. Di Andreotti, di Alberoni, di Romano Battaglia, di Castellaneta...
Lui è Sergio Pautasso (1933-2006), divoratore di letteratura grande e piccola, quella di qualità, d’autore e commerciale. È stato scrittore lui stesso (poeta e saggista), storico della Letteratura, docente di Lingua e letteratura italiana all’Università Iulm di Milano, è stato nelle giurie di molti premi letterari, consulente per la Rai, l’Einaudi, l’Enciclopedia Treccani, bibliofilo maiuscolo (accumulò 70mila volumi nelle sue due case di Milano e Forte dei Marmi), è stato soprattutto – incarnazione perfetta del «protagonista nell’ombra» del mondo culturale italiano – prima direttore editoriale e poi «lettore» ascoltatissimo della Rizzoli. Chi più di lui conosce i segreti del successo e del fallimento di un libro?
A svelarli anche a noi è una giovane insegnante, Laura Tettamanti, laureatasi con una tesi che è diventata ora un libro, Promossi o bocciati. I giudizi di Sergio Pautasso letterato editore, edito da Biblohaus con una serie eccellente di peritesti che lui avrebbe apprezzato: una prefazione di Alberto Cadioli, uno scritto di Andrea Kerbaker e la postfazione del figlio Guido Andrea Pautasso.
Lavorando, per la prima volta, sulle schede di lettura fornite da Pautasso alla Rizzoli fra il 1996 e il 2006, e consultando anche le lettere e le agende private messe a disposizione dalla famiglia, l’autrice ricostruisce il modus operandi del grande studioso – definito perfettamente come «letterato editore» – il quale per anni ha seguito da vicino la narrativa, la poesia e gli studi critici che venivano prodotti in Italia e che nello stesso tempo nelle sue opere e nel suo mestiere editoriale ha portato avanti una precisa idea di letteratura. «Un fatto rivoluzionario – ha lasciato scritto – in quanto suscettibile di modificare il gusto, la mentalità e la sensibilità correnti».
Pautasso era un carpentiere dell’editoria e aveva capito che il libro «perfetto» si costruisce valutando quattro elementi cardine: l’impianto strutturale, la scrittura, il contenuto e infine il rapporto dell’opera con il pubblico da una parte e il mercato dall’altra, tentando persino di conciliare vendibilità e qualità (ecco una sua frase da mandare a memoria: «L’opera che non regge l’urgenza del mercato è una pessima opera»).
Analizzando i pareri editoriali non soltanto si scoprono divertenti bocciature e promozioni, ma si possono individuare le caratteristiche necessarie perché un libro funzioni. I diversi episodi in un buon romanzo devono essere saldamente legati fra loro e non cuciti in qualche modo (motivo per cui respinge due prove, troppo sfilacciate e bozzettistiche, di Elena Gianini Belotti e di Giuseppe Cassieri e accoglie Gli altri di Michele Prisco: solido e dalla trama «ben intessuta»). La storia deve essere lineare – che non significa un appiattimento, cosa che genera cali di tensione – e lo sviluppo «rettilineo e limpido», come nel Viaggio a Salamanca di Raffaele Nigro e come invece non è nel dattiloscritto di Silvana La Spina Uccidimi per amore, narrazione «caotica, intricata, con una struttura soggetta a continue fratture». Poi c’è da considerare la misura del testo. Pautasso non ama la prolissità: l’eccessiva lunghezza può demotivare il lettore, mentre stringatezza e essenzialità sono sicure virtù. E i personaggi: plasmare i soggetti nella maniera più appropriata rispetto al contesto in cui sono inseriti è un punto chiave per garantire un esito felice del romanzo, e qui le lettere di rifiuto abbondano (anche se poi molti libri bocciati da Rizzoli o prima o dopo escono da editori minori). E poi, certo: ci sono la scrittura e lo stile. Sono in pochi a possederne uno peculiare e originale. Per fare qualche nome noto, Pautasso riconosce la capacità di Pietro Citati di creare uno stile distintivo e singolare che invece non è in grado di ottenere Giorgio Montefoschi (come saggista, come romanziere invece è molto amato). E sul fronte della biografia elogia i lavori e il «passo» stilistico di Luigi Meneghello e di Giorgio Soavi.
Pautasso non sopporta l’eccesso di sperimentalismo (soprattutto se proposto da autori ancora acerbi), si stufa presto del linguaggio funambolico e gaddesco (vedi stroncatura di Sergio Spina), apprezza invece gli scrittori capaci di adoperare un linguaggio lineare, diretto, dove il parlato entra meravigliosamente nello scritto (ecco perché i libri di Alberoni funzionano benissimo), condanna le scritture che sono pretesto per mostrare l’erudizione fine se a se stessa (non basta un buon «armamentario letterario» per fare vera letteratura), e punta molto sulla trama e la materia narrativa. Ad esempio un’eccessiva quantità di eventi può determinare perdita di plausibilità e scadimento di interesse, come riscontra nell’opera proposta da Gaia Servadio col titolo Il fattore Z, dove alla fine «c’è troppa carne al fuoco e perciò non tutta cuoce bene», o in L’ombra della Poinciana del magistrato-scrittore Domenico Cacopardo in cui «l’abbondanza di azione e di movimento caratterizza l’impianto del libro con continui colpi di scena fino a un finale moscio dopo tutto quello che è successo». Cosa che succede peraltro con molti noir e polizieschi italiani di oggi, anche se in verità Pautasso già nei primi anni Duemila si lamentava del fatto che la narrativa contemporanea subiva una considerevole inflazione giallistica... Una garanzia di successo, invece, è il sapere tenere la suspense. Gli esempi in positivo sono parecchi: Posillipo di Elisabetta Rasy, che infatti Rizzoli pubblica subito; Indivisibili di Andrea Canobbio; Privacy di Furio Colombo e persino un romanzo di Valerio Morucci, il brigatista: «Non è di tutti i giorni leggere un thriller fantapolitico italiano originale, brillante, costruito senza incappare in errori grossolani». Giudizio che dice molto sulla capacità di «leggere» il proprio tempo da parte di un critico coltissimo, poliedrico, pragmatico. Un grande letterato editore, appunto.