la Repubblica, 20 dicembre 2022
L’uomo che cambierà Notre-Dame
Un’isola ripensata, tra nuovi alberi, prati, specchi d’acqua, un’oasi immersa nella Senna con un nuovo microclima che permetterà di affrontare il riscaldamento climatico dei prossimi decenni. Bas Smets ama definirsi come un “architetto dei paesaggi”. Il suo studio di Bruxelles è stato scelto per riprogettare gli spazi sull’Île de la Cité, intorno a Notre-Dame che dovrebbe riaprire al pubblico nel 2024. Quando sarà finito il gigantesco cantiere per restaurare la cattedrale dopo l’incendio di tre anni fa, Smets comincerà una rivoluzione fatta di incursioni tra natura e urbanismo, giochi di luce e ombra, vento e umidità, movimento e riposo. Non nasconde l’emozione nel trovarsi a ridisegnare l’Île dove è nata Parigi, l’antica Lutecia. «Quando abbiamo guardato le mappe storiche, ci siamo resi conto che quest’isola non ha mai smessodi cambiare forma» racconta l’architetto paesaggista belga. Negli ultimi ottocento anni, prosegue, la cattedrale è stata testimone privilegiata di una città in trasformazione. Ripensare i dintorni di Notre-Dame, tra l’immenso sagrato, la rue du Cloître, gli argini del fiume e la zona retrostante alla cattedrale, significa insomma «domandarsi quale sia il futuro dello spazio pubblico nel ventunesimo secolo».
Il suo progetto per la fondazione Luma di Arles, inaugurata nel giugno 2021, è diventato un laboratorio per sperimentare nuove tecniche di resistenza al cambiamento climatico. Maja Hoffmann, la mecenate che ha lanciato la fondazione d’arte contemporanea, lo aveva chiamato per immaginare un parco intorno alla torre attorcigliata di Frank Gehry che svetta nel cielo fino a cinquanta metri, ricoperta da più di undicimila pannelli di acciaio scintillante. «Risposi che prima dovevo cambiare il clima, e solo dopo poteva sorgere un parco». Negli ex stabilimentiindustriali di fine Ottocento, dove un tempo si costruivano e riparavano le locomotive a vapore, Smets ha creato un lago, portato più di quattromila piante ed alberi. «È la prima volta da quando esiste la nostra professione di paesaggisti, non siamo più sicuri che un albero piantato oggi sopravviverà tra cinquant’anni» osserva Smets. «È piuttosto inquietante». Ha lavorato sul terreno, modellando una falda acquifera artificiale per rendere la vegetazione più autonoma durante i periodi di siccità. Risultato: nei dieci ettari della fondazione Luma si è passati da un microclima semidesertico a mediterraneo, con una flora e fauna che prima non c’erano. «Dobbiamo ripensare la città come un’ecologia urbana, abbiamo l’opportunità di creare una nuova natura» dice Smets. A quarantasette anni, ha già firmato più di cinquanta progetti in dodici paesi. Cresciuto nell’orizzonte piatto delle Fiandre, vive tra Parigi e Bruxelles, guarda come modello Central Park immaginato nell’Ottocento dal visionario Frederick Law Olmsted. «Era davvero un uomo eccezionale, all’avanguardia anche sul posto delle donne nello spazio pubblico». Lavora anche con l’Italia, gli è stata affidata la riprogettazione degli spazi intorno al Maxxi di Roma. Ha collaborato con il botanico Stefano Mancuso e il filosofo Emmanuele Coccia. «Per un fiammingo non è forse così strano, è dai tempi del Rinascimento che tra Italia e le Fiandre ci sono riflessioni condivise intorno ai paesaggi». Nel 2050, osserva, Parigi avrà il clima di Siviglia. Ma la Ville Lumière non è stata pensata per affrontare estati durante le quali ci saranno più di 30 giorni a 35 gradi. «È vitale trasformare lo spazio pubblico in spazio climatico».
Per il 2027 – termine del progetto – il piazzale davanti alla cattedrale sarà concepito come una “radura”, circondata su tre lati da vegetazione, lasciando intatta la visuale sulla facciata. Gli alberi faranno ombra per i dodici milioni di visitatori che torneranno a frequentare Notre-Dame. Una delle caratteristiche più originali è il sottile strato d’acqua che nelle stagioni più calde scenderàsul piazzale. «Non è proprio uno specchio ma una piccola onda che scorre e abbassa immediatamente la temperatura percepita di quasi 5 gradi, come dopo un temporale estivo». Il piazzale sarà bagnato fino a quattro volte al giorno a seconda delle esigenze. «Quando lo abbiamo spiegato alla giuria che doveva scegliere i progetti, alcuni ci hanno detto che era molto simbolico portare l’acqua laddove il fuoco aveva aggredito la cattedrale, mentre un esponente religioso ha scherzato sul fatto che proponevamo di camminare sull’acqua. Esistono molti simbolima alla base per me c’è un’esigenza climatica». Aprire nuove prospettive è una delle tante sfide. La zona retrostante alla cattedrale sarà restituita ai parigini con un gigantesco prato aperto su contrafforti e vetrate. La strada diventerà a traffico limitato e i giardini a sud della cattedrale, così come gli alberi esistenti, saranno integrati in un grande parco fluviale lungo 400 metri. «Finora i visitatori scattavano una foto della cattedrale e se ne andavano, ora saranno invitati a restare, a passeggiare sotto ai tigli e sdraiarsi su un prato per prendere il sole». Un’altra prospettiva inedita è quella offerta dal parcheggio sotterraneo nel quale sarà creata una “passeggiata interna” con vedute sul fiume rive gauche, il nuovo accesso alla cripta archeologica e una rampa che porterà una vista ascendente del monumento, come veniva guardato 800 anni fa. Nelle sue ricerche combina l’idrografia, la topografia, la botanica, l’urbanistica. Si ispira anche dalla storia dell’arte. Per il progetto di Notre-Dame ha riletto Victor Hugo, si è nutrito di capolavori della pittura e del cinema. Infine c’è la sua esperienza sensoriale dei luoghi, visitati a ogni ora del giorno e della notte, in stagioni fredde o calde, nei momenti più o meno affollati. «Esiste una conoscenza empirica o quasi istintiva importante quanto la ricerca analitica. All’incrocio di entrambe, nasce il progetto». L’estetica non è un obiettivo, Smets cerca l’armonia tra gli elementi. «Ho in approccio sistemico, che rispetta la vocazione di ogni posto». Fa l’esempio dei panorami che si vedono dall’alto. «Sono sempre belli: un paesaggio naturale non è mai brutto perché c’è una logica dietro. Quin di se si riesce a comprendere questa logica, la bellezzaviene da sé».