Corriere della Sera, 19 dicembre 2022
Se Natale suona troppo cristiano
Non è un’imposizione ma un consiglio: evitare la parola «Natale», in inglese «Christmas». È quanto scrive, in un documento di nove pagine rivolto al personale, la direzione dell’Università di Brighton. Quella parola è troppo «cristianocentrica» e dunque rischia di ledere la sensibilità di quelli che cristiani non sono. Dunque, piuttosto che usare l’espressione «periodo di chiusura natalizia» sarebbe preferibile un più generico: «periodo di chiusura invernale». La «Guida al linguaggio inclusivo» di Brighton contiene anche altri suggerimenti. Rinunciare a designare gruppi etnico-religiosi in modo categorico (meglio «le comunità islamiche» che «la comunità islamica»), scansare le categorie anagrafiche in frasi del tipo: «Gli anziani (old people) non sanno usare la tecnologia». Non si precisa però se è il concetto a disturbare (tutti gli anziani hanno difficoltà con la tecnologia?), oppure l’aggettivo in sé. Sarebbe politicamente corretto e per nulla oltraggioso dire che «gli anziani (sottinteso: nonostante l’età) sono bravissimi a usare il computer»? Un settantenne si offende se viene definito per quello che è (un anziano)? Oppure si offende se viene definito per quello che non è (un incapace)? E così, perché mai una chiusura delle scuole tradizionalmente stabilita per celebrare la nascita del Gesù cristiano dovrebbe offendere un musulmano o un indù? In un mondo in cui si moltiplicano le guerre, in cui ogni giorno si assiste a un naufragio di migranti nell’indifferenza generale, in cui la povertà e la fame crescono, in cui vengono massacrate donne che chiedono la libertà, in un mondo demenziale e irresponsabile in cui si torna a parlare di bomba atomica, l’obiezione sul linguaggio «inclusivo» ha qualcosa di ridicolmente cavilloso, come concentrarsi sulla pagliuzza nell’occhio e ignorare la trave. È meglio dire: «Oggi sono morti trenta bambini musulmani nel Mediterraneo» o: «Sono morti trenta bambini» e basta? Meno offensivo? Più inclusivo?