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 2022  dicembre 19 Lunedì calendario

LA TRIPLETTA PIU’ INUTILE DEL MONDO - I TRE GOL SEGNATI IN FINALE NON SONO BASTATI A MBAPPÉ PER RIVINCERE IL MONDIALE - MA L’ATTACCANTE FRANCESE E’ UN’IRA DI DIO, UN FUORICLASSE LA CUI CARRIERA È STATA PROGRAMMATA DALL’ETÀ DI 10 ANNI (QUANDO GIÀ LA NIKE GLI MANDAVA GLI SCARPINI A CASA, DIVENTERÀ TESTIMONIAL A 14) - ORA CHE MESSI E CRISTIANO RONALDO SONO A FINE CARRIERA AL CENTRO DEL VILLAGGIO C’E’ SOLO LUI… -

Ha sconfitto tutti, non gli dei del calcio: Pelé che resta irraggiungibile con il bis Mondiale e la storia di Messi che si compie con il titolo che mancava. Perché altro che Argentina-Francia, la finale più bella degli anni Duemila è stata Messi-Mbappé, all’ultimo tiro, all’ultima resistenza, all’ultimo rigore. Tutto o niente, morti, risorti, ancora morti, risorti di nuovo.

Oggi perde lui, Kylian, che è l’uomo del presente, che versa poche lacrime nella maglietta, solo un momento, è palesemente infastidito dal presidente Emmanuel Macron che va a parlargli tre volte, in campo dopo i rigori finiti come sono finiti e poi quando va a ritirare la scarpa d’oro per il titolo di capocannoniere (otto gol) e la medaglia del secondo, premi di consolazione che non consolano, il dialogo sembra di sentirlo «sei giovane, ne vincerai altri», «sì vabbè, ma quello da vincere era questo».

Macron lo ha convinto a restare al Psg dove è arrivato quell’altro: pochi mesi per studiarsi, decidere che non si piacciono più di tanto, ringraziare Leo per i 6 assist («È sempre calmo, calmo qualunque cosa succeda attorno a lui» dice il francese dell’argentino), e ridarsi appuntamento qui, oggi, finale del Mondiale, l’unico posto dove volevano essere e dove si ignorano.

Kylian Mbappé ha lasciato la scena a Lionel Messi per 70 minuti e in 97 secondi gli aveva rubato la Coppa: rigore trasformato e gol, tutto riacceso, la decido io, del finale della tua storia non m’importa niente. Poi quell’altro si è inventato una rete di rapina e sembrava avere già rimesso le mani su quella benedetta Coppa, pochi minuti ancora e il destino era compiuto, ma non per Mbappé che si è conquistato il secondo rigore e, a differenza di Harry Kane a cui ha riso in faccia dopo l’errore negli ottavi, non ha sbagliato.

Tripletta (prima di lui c’era riuscito in finale solo Geoff Hurst in Inghilterra-Germania nel ’66 che si complimenta), ma non rende l’idea dell’esplosione di potenza vista in campo, di un altro gol mancato di un soffio, degli argentini portati a spasso.

Mai visto un giocatore così nullo e così decisivo nella stessa partita, macché partita, il romanzo di due Paesi, un pomeriggio qatarino che segnerà la vita di milioni di persone.

Per 70’ Mbappé semplicemente non c’era, e di conseguenza non c’era la Francia. In quella prima accelerazione, il simbolismo che in una finale come questa è in tutti i ciuffi d’erba, vuole che Mbappé salti Leo Messi. Ne esce un tiro alto, ma è un segno di vita. L’ossessione del secondo Mondiale sembrava diventata un pomeriggio di impotenza, di talento inespresso, di inchino al campione che organizza l’uscita di scena, il compimento del tempo di prima e tu in sala d’attesa.

E invece è bastata una scintilla, un fallo di Otamendi su Kolo Muani e un rigore trasformato perché con i fuoriclasse la cui carriera è stata programmata dall’età di 10 anni (quando già la Nike gli mandava gli scarpini a casa, diventerà testimonial a 14) da papà Wilfrid, allenatore delle giovanili dell’As Bondy e mamma Fayza, giocatrice di pallamano, funziona così: quando serve non sbagliano.

Ed è ancora Messi che perde quella palla a centrocampo che, dopo un’azione bellissima, diventa il tiro al volo per il secondo gol di Kylian: scende uno, sale l’altro, i vasi comunicanti del talento e delle emozioni. Fino ai rigori finali, e anche qui Mbappé fa il suo dovere, apre la serie senza errori, il suo bleu è immacolato, ma la Francia perde come nel 2006 contro l’Italia, come agli Europei contro la Svizzera. Lui perde, inaudito.

E adesso? Adesso che ha quella faccia seccata, come quando in campo i compagni non sono all’altezza di lui, che si prepara a compiere 24 anni (martedì 20 dicembre) tormentandosi per l’occasione persa, che quella serata di pioggia in Russia in cui ha alzato la Coppa del mondo resta un ricordo solitario, adesso non cambia niente: perché è già il suo tempo, di un giocatore mostruoso, creatore e realizzatore assieme, sì, un po’ Messi e un po’ Ronaldo (suo idolo). A settembre, al Wall Street Journal che gli chiedeva se era pronto a prendere la scena in un mondo post Ronaldo e post Messi aveva detto: «Non credo di avere scelta. Il pedale del freno non funziona più». E non sarà questa sera triste di Doha ad azionarlo.