il Giornale, 19 dicembre 2022
Ritratto di Gianrico Carofiglio (che però si chiama Giovanni)
Intanto non si capisce perché si faccia chiamare Gianrico, se all’anagrafe è Giovanni.
De Giovanni, De Cataldo, De Silva, Del Castillo de gustibus non disputandum, ma a noi i gialli ci fanno cachè.
Una cosa però va tenuta a mente: la categoria più pericolosa, da cui ci si possono aspettare i più gravi disastri e da cui bisogna guardarsi con la massima circospezione, è quella dei magistrati intraprendenti. Che vogliono farsi politici e – persino – scrittori.
Ex magistrato, ex politico, ex scrittore discreto (il primo giallo, Testimone inconsapevole, è ottimo, poi ha prevalso la ripetitività del genere e la serialità), Gianrico Carofiglio, pugliese di Bari, città Vecchia e botte per le strade, è entrato in magistratura nel 1986 e ha lavorato nella Direzione distrettuale antimafia fino al 2008. Poi Charta minuta canta dichiarò che un pubblico ministero non può candidarsi nello stesso territorio in cui ha esercitato. Quindi si presenta alle elezioni politiche del 2008 nelle liste del Pd. Circoscrizione? Puglia. Può succedere È stato senatore inconsapevole per una legislatura (politicamente Carofiglio è un Michele Emiliano che non ce l’ha fatta) fino a quando nel 2013 ha abbandonato sia la magistratura sia la politica per dedicarsi tempo pieno e vuoto legislativo – alla scrittura.
Da allora scrive più o meno un libro a settimana.
Inventore del filone «thriller legale all’italiana», ha pubblicato sedici romanzi mass market, cinque raccolte di racconti e sei saggi, tradotti in 28 lingue e venduti in cinque milioni di copie. Ce n’è abbastanza per invidiarlo. Se rinasco, rinasco Carofiglio: ricco, magistrato, politico, scrittore, brizzolato, del Pd e sempre primo nella classifica dei libri più venduti.
«Mi stai dicendo che hai letto un romanzo di Carofiglio? Tutto? Cioè sei arrivato alla fine? Beh, sei fantastico».
Fantastico per migliaia di lettori e soprattutto di lettrici, Gianrico Carofiglio è un po’ come la Bari che descriveva Mario Sansone, l’italianista allievo di Benedetto Croce: «Una città senza ironia né malinconia». Carofiglio è come i suoi romanzi: formalmente ineccepibili, senza acuti né sussulti. Libri che si possono leggere. Ma anche no. Come dice in via confidenziale un italianista di chiara fama: «Sono di una superficialità spaventosa». Format: trama gialla, ambientazione pugliese, citazioni letterarie, interrogatori, massime di Lao-Tze, rovelli etici, citazioni musicali, codice penale, affreschi d’ambiente, citazioni cinematografiche, ritrattini umani, sentimentalismo, altre citazioni letterarie e moralismo alle cime di rapa. Ottimo per altro abbinato a un Primitivo di Manduria.
Moralista alla Sciascia senza essere Sciascia, fanatico senza accorgersi di esserlo, conformista convinto del contrario, perbenista ma per male, convinto che «Chi afferma di non essere né di destra né di sinistra è immancabilmente di destra», quindi gli altri sono tutti fascisti, già idolo dei salotti mangia-tartine pugliesi e vendoliano de fiirre, Gianrico Carofiglio pur sparito dal Parlamento continua a essere politicamente impegnato. Intellectuel engagé, che a Bari si dice: «Sì nu cazze cchine d’acque», è ricercatissimo in tv, preferibilmente sulla Pravda 7, ma non solo. Carofiglio ospite a Piazzapulita, Carofiglio ospite a Otto e mezzo, dove è presenza fissa in quota «magistrati-scrittori»; Carofiglio ospite di Gramellini per parlare del governo Meloni con Landini, Rampini, Giovanna Botteri, Roberto Vecchioni, e il contraddittorio sarà per un’altra volta; Carofiglio ospite da Fabio Fazio, e ti pareva; Carofiglio ospite da Geppi Cucciari; Carofiglio ospite a Quante storie (e anche quante banalità: «Il solo modo etico per vivere il successo è sentirsi in debito con chi non ce l’ha avuto»); Carofiglio ospite a #Cartabianca; Carofiglio ospite da Floris a Dimartedì... E poi a un certo punto, di lunedì, gliene hanno data una a lui di trasmissione, su Rai3 (strano...): Dilemmi. E infatti la domanda è: «Ma perché?». Era il programma su cui puntava la governance dell’era Draghi. È stato il peggiore flop Rai dell’anno. Sei puntate, media share 5%, voto zero al pluralismo. Ospiti monocolore: Oscar Farinetti, Giulia Innocenzi, Marco Cappato, Chiara Valerio (... ma va?!), Walter Siti, Stefano Massini, Marco Travaglio, Gherardo Colombo. Musa: l’attrice Lella Costa. Si capit u fatt?
Slogan carofigliesco: «La sinistra riparta dalla parola comunità». Lui ha ristretto il campo largo ed è partito dalla famiglia. Scrittrice la cara madre, Enza Buono, con la quale il caro figlio scrisse un libro. Scrittore il fratello, il caro Francesco, una sottomarca di Carofiglio, con il quale ogni tanto scrive libri. E scrittrice la cara figlia, Giorgia, con la quale va in tv a promuovere il nuovo libro carofigliesco, L’ora del caffè, in cui Caropadre e Carafiglia «prendono spunto dalle differenze fra generazioni per costruire un dialogo che ci riguarda tutti». Domanda: ma com’è che ’sto Paese sguazza sempre nel familismo?
Aggettivi carofiglieschi: educato, freddo, saccente, formale, narciso, mite, vanitoso (se c’è un festival del libro tra il Salento e Pordenone, lui dev’essere invitato, e sul palco migliore), coraggioso, a volte manesco, supponente, «Te lo spiego io come va il mondo», noiosissimo. Un po’ triste. E non possiamo certo dire fedele. Appena Rizzoli gli offrì più soldi, Gianrico Carofiglio pugnalò alle spalle Elvira Sellerio che lo aveva pescato fra i dattiloscritti in attesa di pubblicazione portandolo al successo (quando lui si faceva vanto di vendere più di Camilleri, ma non era vero, e più di Saviano, ed è vero); poi appena Einaudi gli offrì il blasone dello Struzzo, e i soldi di Berlusconi, abbandonò anche Rizzoli come da celebre metodo investigativo: follow the money – ma tenendo una Church’s anche dentro Feltrinelli, che fa tanto pedigree new left oriented.
Ultra left, un’ossessione etnica per Salvini, che se fosse per lui lo manderebbe all’ergastolo, una ripugnanza per la destra «sudata», una crociata per i pagamenti digitali (facendo finta di non sapere quanti illustri intellettuali impegnati a sinistra si fanno pagare in nero premi letterari, festival e conferenze, Hasta la Visa siempre), 61 anni, una moglie magistrato, due figli, case sparse fra il quartiere murattiano e Campo Marzio ex Apulia lux, ex Roma villa deluxe – un assillo per lo Strega, cintura nera e sesto dan di karate, «Caro te», Carofiglio, filosofia Zen (Ci-ammène prime, ammène do volde, «Chi colpisce prima, colpisce due volte»), combattente da salotto – bastone, carota e Carofiglio – romanzi noir, toga rossa, camicia bianca, jeans stinti e giacca blu, Gianrico è fissato col rapporto tra lingua e potere, la manomissione delle parole, la precisione del linguaggio...
Slogan caro a Carofiglio: «Quando le parole perdono il loro significato, le persone perdono la propria libertà». Perché le parole sono importanti, in ogni sfumatura. Ad esempio. «Non saprei»: Cazz’ ne saccje. «Chi se ne importa»: C’ cazz’ se ne fregh! «Ora la circostanza si fa drammatica»: Mò sò cazz’. «Accidenti!»: Cape d’ cazz’. «Mi fai cadere le braccia»: E c’ cazz’! «Ho tanti pensieri per la testa»: Teng’ tand d’chidde cazz’ pa’ cape. «Ti ringrazio per ciò che mi dici ma sono argomenti che già conoscevo da tempo»: Grazie o’ cazz’. «Ma chi è costui che si presenta dinanzi a me con fare spavaldo?». Ma c’ cazz’ sii? «Cerchi forse qualcosa che io non posso darti?»: Ma c’ cazz’ wué? Ma soprattutto: «Non dovresti interessarti della vita privata degli altri»: Fatt’ le cazz’ tuh’!
È tutto, Vostro Onore.