il Fatto Quotidiano, 19 dicembre 2022
La Polonia ha paura di essere invasa dai russi. Un reportage
Dei frammenti di vetro ricoprono la terra nera di Przewodów, in Polonia, a pochi chilometri dal confine con l’Ucraina, accanto all’essiccatoio per cereali che è stato colpito da un missile il 15 novembre scorso. Tutta l’area è delimitata da un nastro segnaletico. Al centro c’è il cratere scavato dall’esplosione. L’impianto è andato in gran parte distrutto, ma i chicchi del mais, ricoperti da un sottile strato di neve, sono ancora lì. Bogdan Ciupek, trattorista di 60 anni, e Bogusław Wos, magazziniere di 62, quel giorno stavano lavorando alla pesatura del mais. I resti del missile, che probabilmente proveniva dalla difesa antiaerea ucraina, sono stati portati via per le indagini.
“Allora, è qui che è successo”, esclama Andrzej Sarzynski, che vive a Hrubieszów, una cittadina a una quarantina di chilometri da Przewodów, proprio lungo il confine con l’Ucraina. È la prima volta che viene sul luogo dell’esplosione. “Il missile non ha funzionato come avrebbe dovuto… Sono molto triste per le due vittime, ma cosa sarebbe successo se fosse caduto sulla scuola o sulle case? Il bilancio sarebbe stato molto più grave”. Anche se la sua casa è poco lontano dalla frontiera, Andrzej, un pensionato sulla sessantina, dice di continuare a vivere normalmente. “Il momento peggiore è stato all’inizio della guerra, i mesi di febbraio e di marzo. È stato molto difficile. Col tempo ce ne siamo fatti una ragione. Dopotutto, la Polonia fa parte dell’Unione Europea e della Nato. Come si fa, mica possiamo metterci a vivere in un bunker?”. Andrzej teme però che altri missili possano cadere sul territorio polacco: “Non posso dire di essere completamente sereno – continua –. La guerra è alle nostre porte e non si può escludere che un incidente di questo tipo accada di nuovo. Tanto più che i russi non sono pronti a cedere. Il cielo ucraino è pieno di missili”. Andrzej scatta qualche foto, ci saluta e torna alla sua auto.
Sul marciapiede di fronte, alcuni operai hanno ripreso i lavori di riparazione della strada, interrotti il giorno dell’incidente. “La vita sta riprendendo il suo corso come prima”, osserva Ilona Machejko, una responsabile politica locale. Nel paesino a lutto di Przewodów, circa trecento anime, tutti conoscevano le vittime: “È stato uno choc”. Ma la farmacista di 41 anni non crede che l’incidente si ripeterà: “Si è trattato di un missile vagante”, osserva. Il suo pensiero va soprattutto al popolo ucraino che vive in guerra. Qualche mese fa, come tutti gli abitanti di Przewodów, anche Ilona Machejko si è mobilitata per accogliere i profughi in arrivo dall’Ucraina, migliaia di persone che dal 24 febbraio sono fuggite in Polonia. Ha distribuito centinaia di panini nel centro di accoglienza aperto a Dołhobyczów, nei pressi di Przewodow: “È stato straziante vedere quei bambini, partiti così, precipitosamente, con le loro madri, con solo quello che avevano addosso”, ricorda. Anche Bogusław Wos, una delle vittime dell’esplosione, si era mobilitato per aiutare gli esuli in fuga dal conflitto, impegnandosi in particolare a trovare delle soluzioni di alloggio a Przewodów. Alcuni rifugiati ucraini che Bogusław aveva aiutato sono andati a rendergli omaggio al suo funerale. Il parroco del paese, Bogdan Ważny, preferisce non tornare sul giorno dell’esplosione, i “fatti del 15 novembre”, come dice quando ne parla durante la messa. Negli ultimi tempi i fedeli sono tornati in chiesa: “Il calcolo delle probabilità gioca a nostro favore: se un missile dovesse cadere di nuovo sul nostro paese, mi rimetto a giocare al lotto”, scherza. Przewodów è essenzialmente un paesino rurale e agricolo, anche se conserva le tracce di un passato comunista prospero, ormai definitivamente concluso. Negli anni 70 tante persone lavoravano nella fattoria collettiva di Przewodów, frequentavano il cinema e il teatro, e soggiornavano in albergo.
Gli edifici prefabbricati oggi decadenti mostrano un presente diverso, più difficile, mentre il villaggio si spopola e invecchia. A Budynin, ad una manciata di chilometri più a sud, l’architettura più pittoresca nasconde una realtà molto simile. Il borgo di un centinaio di abitanti vanta un’antica chiesa ortodossa di legno. Le icone ricordano che, prima della seconda guerra mondiale, la popolazione locale era composta principalmente da ucraini. Da allora, le frontiere europee sono state ridisegnate dividendo i polacchi dagli ucraini. Ciascuno si è messo a coltivare la terra nera della regione, dall’una o dall’altra parte del confine.
Il 24 febbraio 2022, il giorno in cui la Russia ha invaso l’Ucraina, anche gli abitanti di Budynin si sono mobilitati notte e giorno per accogliere i vicini ucraini in fuga. Quel giorno la vita di Renata Sobczak è cambiata. L’agricoltrice, che abita a solo un chilometro dal confine, ha aperto la sera stessa la sala comunale a chi fuggiva dalla guerra. Tra febbraio e aprile, Budynin ha ospitato un numero di rifugiati almeno tre volte superiore alla sua popolazione. “Ci siamo presi cura anche di un uomo su una sedia a rotelle, che è rimasto con noi per due settimane. Ora vive in Germania, in un centro specializzato, e non smette mai di ringraziarci per il nostro aiuto – racconta –. Il giorno in cui, ad aprile, abbiamo chiuso il centro di accoglienza, abbiamo sentito un vuoto profondo”. La parte di aiuti umanitari che non era stata utilizzata è stata donata ad un orfanotrofio in Ucraina. Il giorno in cui il missile è precipitato su Przewodów, il 15 novembre, Renata Sobczak era sotto choc perché conosceva molto bene una delle vittime. “Mia madre è corsa in preda al panico per venirci a dire che probabilmente un missile era caduto a pochi chilometri da qui. Non perdonerò mai a Putin di aver tolto la vita a queste belle persone e a tanti bambini ucraini”. La tranquillità di questi paesini polacchi, da cui si può intravedere l’Ucraina, è talvolta rotta dal fragore delle esplosioni che risuonano in lontananza, quando dei missili cadono sulla città ucraina di Leopoli, ad una settantina chilometri di distanza. “I russi prendono di mira le infrastrutture energetiche e le linee dell’alta tensione che collegano l’Ucraina alla Polonia e passano molto vicino da qui. Non si può escludere che un altro missile cada da queste parti”, osserva Mariusz Skorniewski, che ha spesso pattugliato il confine, sul lato polacco, come guardia di frontiera. Per precauzione, Renata Sobczak ha ricaricato una vecchia lampada a petrolio di famiglia per tenersi pronta nel caso in cui un giorno dovesse essere necessario rifugiarsi nella cantina o in caso di eventuali interruzioni di corrente. “In campagna non mancano mai gli strumenti per riscaldarsi – dice –. Potrei anche attingere acqua dal pozzo. Ma in città è più complicato. Non ci voglio neanche pensare”. Anche Zofia Szlendak si è procurata una lampada a petrolio. L’agricoltrice vive con il marito aŚLipcze, una quarantina di chilometri a nord di Budynin. La sua fattoria si trova a appena duecento metri dal confine: “L’Ucraina è il paese vicino. A febbraio – racconta – abbiamo avuto molta paura. Tutti o quasi gli abitanti qui a Lipcze avevano preparato le valigie per tenersi pronti a partire”. Zofia, sulla sessantina, ha sempre vissuto nei pressi del fiume Bug, che delimita il confine con l’Ucraina. La caduta del missile su Przewodów in un certo senso per lei ha reso più vicina la guerra, che pensava lontana, a est. “Quel giorno, anche mio marito, proprio come le vittime del missile, era andato a occuparsi della pesatura del mais”, ricorda Zofia, che spera che l’Ucraina esca vittoriosa da questo conflitto. “Da quando è iniziata la guerra, abbiamo accolto ottanta rifugiati. Abbiamo molti amici sull’altra sponda del Bug. Sanno che qui saranno sempre i benvenuti in caso di attacco. C’è solo il fiume che ci separa: per il resto, non penso che ci sia molta differenza da una sponda all’altra”.
Traduzione di Luana De Micco