il Fatto Quotidiano, 19 dicembre 2022
Capelli. Simbolo di indipendenza e dignità
Matilde rispondeva alle mie domande. Giovanissima, secondo anno di università. Restavo sorpreso ogni volta della profondità delle sue risposte, dell’ampiezza degli orizzonti storici e geografici conquistati durante il corso. E anche dell’eloquio, semplice e disinvolto come l’abbigliamento. Poi il lampo. Perché a un certo punto il mio sguardo si è soffermato casualmente sui capelli lunghi e castani, e d’istinto ho pensato che se, anziché all’università statale di Milano, Matilde fosse stata a quella di Teheran l’avrebbero potuta sequestrare e uccidere. Per una questione “morale” che ha dato vita a una “polizia morale” che tortura e uccide le ragazze come lei. E mi è venuto un brivido. Gliel’ho anche confessato durante l’esame che andava verso il 30 e lode, non sono cose che si possano tacere ai propri allievi.
Proprio così. Ci sono posti del pianeta in cui i giovani che possono fare del bene al mondo, renderlo più libero e bello, con la loro cultura e semplicità, vengono uccisi prima che sia troppo tardi, prima che, a colpi di semplicità e di cultura, cambino la natura del potere. Perché Erode non c’è solo per gli infanti. Erode c’è anche per i giovani, in questa strage degli innocenti che stiamo vivendo nella nuova epoca di sangue.
I capelli… Davvero devono possedere, da sempre, una forza misteriosa. Minaccioso e innocente segno di orgoglio e di libertà. Forse che la rivolta della mia generazione non iniziò negli anni Sessanta con l’onda (un’onda vera…) dei capelloni? Il potere in occidente, specie nella più bigotta Italia, si sentì minacciato da quei capelli che arrivavano alla nuca e la oltrepassavano, altro che la “sfumatura alta” del servizio militare. Avvertì in quella libertà sconosciuta l’arrivo di qualcosa di imprevisto, di un ciclone pronto ad abbattersi su tutto: la più grande contestazione di una metà di secolo. Per questo i fascisti andavano in piazza di Spagna a Roma per tagliare i capelli ai ribelli, portatori di modelli culturali eretici, dei Beatles e dei Rolling Stones, di canzoni come Auschwitz o Dio è morto.
Per questo mi capitò in un concerto di vedere alcune ragazze scandalizzate urlare “invertiti” ai Rockes, capelloni più di tutti, impegnati a “riscaldare” il pubblico. I capelli… La storia e la leggenda sono piene di suggestioni. Di tutti i nostri eroi risorgimentali fu Giuseppe Garibaldi l’eretico a portare i capelli fluenti in una iconografia popolare che va da Quarto all’Aspromonte. Lui, il generale dai capelli lunghi che con il suo ardimento fece l’Italia più lunga di quanto Cavour avrebbe desiderato. E che dire dei capelli di Sansone così temuti dai filistei? Quale metafora più grande e suggestiva della sua per cogliere il rapporto tra i riccioli e il potere? I capelli simbolo di indipendenza, di dignità. Non per nulla nei campi di concentramento la prima pratica dell’annientamento era il taglio dei capelli. Al quale soggiacciono tutti gli sconfitti. Comprese le donne collaborazioniste con il fascismo, che dovettero sfilare in pubblico senza più capelli ad adornarne il capo. Rasate. La massima rappresaglia possibile, verso le traditrici della patria e di tante vite umane. Tagliare i capelli (o impedirne la vista) come gesto prepotente e maramaldo, che nessun copricapo prezioso, nessun velo intessuto d’oro, può cancellare. Questa è la violenza assoluta dell’Iran verso i suoi giovani. Perciò oggi le nazioni del mondo dovrebbero votare un emendamento alla Dichiarazione dei diritti umani del 1948, che suoni all’incirca così: “Ogni persona ha diritto di mostrare in pubblico i propri capelli. Sono ammesse eccezioni per i luoghi di culto”. Un diritto surreale. Una banalità che si fa dramma. Purtroppo le nazioni non avranno mai il coraggio di proporre quell’ emendamento. Mica si scherza con le potenze nucleari… Erode e Ponzio Pilato. Sempre lì siamo, accidenti.