la Repubblica, 18 dicembre 2022
Così Enrico Mattei divenne partigiano
Ma davvero, come da dispacci del capo della Cia di Roma del 1955 desecretati dai National Archives di Washington, il patriarca dell’Eni Enrico Mattei era «un fascista fino al 1945, entrato nella Resistenza solo dopo l’8 settembre»? Davvero «aveva pagato cinque milioni di lire a un leader partigiano della Dc per ottenere il titolo di capo partigiano»? Le informazioni emerse da migliaia di carte finora segrete colpiscono, anche se sono di 67 anni fa. Ma sembrano verità di parte, piene dell’effetto che si può ottenere interpretando certi fatti, e trascurandone altri. La Storia su Mattei, abbondantemente scritta, non cambia per gli accenni di un informatore americano, e in assenza di prove atte a stravolgere verità ormai acclarate. Tranne quelle sui mandanti della morte del commissario liquidatore dell’Agip, che anziché liquidarla ne fece il perno della major italiana.
Almeno tre aspetti vanno considerati prima di scegliere se e quanto credere a Lester Simpson, estensore di quegli appunti. Primo, l’età di Mattei, troppo verde per essere davvero “un fascista”, e non un balilla come tanti, che scelse l’impresa per realizzare i suoi sogni. Classe 1906, non aveva l’età per “marciare su Roma”: nel 1922 era 16 enne, e a 23 migrò da Matelica a Milano, per rappresentare una ditta tedesca di prodotti chimici per conciare pelli. Quando iniziò la guerra era autonomo e rispettato, con due aziendine nel settore: tutto agli atti. Certo non fu un partigiano come quelli di Beppe Fenoglio, scarponi montagna fucile. Ma lo diventò dal ’43, quando, imprenditore disorientato, tornò dal vecchio amico Marcello Boldrini e di lì a Orio Giacchi, al vertice della Dc dell’Alta Italia. Come ha scritto il politologo Giorgio Galli, in “Enrico Mattei: petrolio e complotto italiano”, una delle sue tante opere sull’uomo, «Mattei era uno dei milioni di italiani che aderirono al fascismo senza prendervi parte attiva: per lui il lavoro imprenditoriale era l’unica strada possibile per l’affermazione sociale (…). Divenne capo partigiano proprio per investitura della borghesia milanese, che aveva bisogno di qualcuno che fosse la dimostrazione vivente e operante che anche la Dc aveva fatto la Resistenza». Un capo che organizzava persone e gestiva conti e risorse; ma sempre un partigiano. Secondo aspetto: l’assenza di denunce a carico di Mattei da parte dei comunisti, rivali feroci della sua Dc (fu deputato dal 1948 al 1953, quando si dimise dovendo scegliere tra lo scranno e l’Eni), dalle elezioni decisive del ‘48 alla legge truffa del ‘53. Da allora, e per un ventennio almeno, la politica si è fatta anche a colpi di dossier retrodatati, dedicati ai misfatti dei fascisti. Su Mattei c’è solo una foto giovanile vestito da balilla (“per non prendere le bastonate”, dice la nipote Rosangela Mattei) e una rassegna della stampa del 1949, tutta schierata contro le sue mire di petroliere, in cui il settimanale “Il Merlo Giallo”, diretto da una ex spia dell’Ovra, cita «una voce pubblica» che dava Mattei «prima nazionalista e quindi fascista, membro delle Squadre d’azione di Matelica, con tanto impegno che si racconta che nel 1924 abbia strappato in una spedizione punitiva i baffi ad un “compagno”». Fosse vero, lostrappo di una vita setacciata mille volte.
Terzo aspetto, le campagne di disinformazione e denigratorie contro Mattei da mezzo mondo. Erano anni caldi, quelli in cui Simpson scriveva. E l’ambasciata Usa a Roma era un feudo conservatore, in asse con le major Usa e infastidito dall’esuberanza matteiana. Una campagna inedita emerge da “L’Italia nel petrolio”, scritto da Giuseppe Oddo e Riccardo Antoniani per Feltrinelli. Nel gennaio 1960 Hjalmar Schacht, ex ministro e banchiere centrale della Germania nazista assolto a Norimberga, scrive a Mattei che lo usava come consulente: «Prossimamente gli americani lanceranno contro di lei attacchi pubblici allacciati al suo passato politico». L’accusa era che Mattei avrebbe raggiunto i vertici dell’Eni solo affiancato da un fascista da lui liberato dalla prigionia e più esperto, per aprirsi «una strada non pulita». Mattei replicò che si trattava di giovane ex partigiano scelto da lui come collaboratore, che quando scoppiò la guerra aveva appena 18 anni.