Corriere della Sera, 18 dicembre 2022
Delitto Pasolini. L’Antimafia: sì, c’entra «Salò»
L’ipotesi non è nuova: la notte tra il 1° e il 2 novembre 1975, Pier Paolo Pasolini fu attirato all’Idroscalo di Ostia dai suoi carnefici con la promessa di avere restituite le pellicole originali del film Salò e le 120 giornate di Sodoma. Le «pizze» erano state trafugate in agosto a Cinecittà e adesso Pasolini sperava di recuperarle. La novità è che per la prima volta viene smentita ufficialmente, dalla Commissione parlamentare Antimafia della scorsa legislatura, la versione stabilita in sede giudiziaria: e cioè che Pasolini sarebbe stato vittima di un «semplice» fatto di cronaca nera legato agli ambienti omosessuali, autore materiale il diciassettenne Pino Pelosi.
Tutt’altro che inedita è anche l’ipotesi che nell’assassinio fossero coinvolti membri della nascente banda della Magliana o dei Marsigliesi poi confluiti nella Magliana (l’ha spiegato bene ieri Giancarlo De Cataldo sulla «Repubblica»). Fatto sta che, a 47 anni dall’omicidio, nella relazione parlamentare appena uscita si legge che anche se «appaiono ormai del tutto improbabili soluzioni di carattere giudiziario» sarebbe utile che, «in prospettiva storica», le ricerche sul movente venissero riprese. E si insiste su un’evidenza che solo la malafede o la superficialità dei sedicenti (e irridenti) «anticomplottisti» continua a ignorare: troppe inchieste giornalistiche hanno ormai «definitivamente sgretolato» la tesi del «tragico esito di un incontro sessuale sfociato estemporaneamente in una aggressione da parte di un unico individuo». Resterebbe da dire: alla buonora! Niente di meglio per celebrare il centenario dello scrittore e regista e sottrarre l’assassinio alle responsabilità del «frocio e basta» che in qualche modo se l’era voluta.
In effetti, dopo la famosa controinchiesta di Oriana Fallaci e le indagini di Sergio Citti (che segnalarono subito la presenza di numerosi ignoti all’Idroscalo), in questi anni sono usciti tanti di quei libri che smentiscono la pista «semplificatoria» dell’omicidio sessuale, sia pure non del tutto convergenti nelle congetture alternative. Basti citare i nomi di Gianni Borgna e Carlo Lucarelli, la cui ricostruzione, consegnata a «MicroMega» nel 2005, già ipotizzava che l’agguato a Pasolini fu premeditato con la messinscena della consegna delle pellicole trafugate di Salò: precisando che fu lo stesso Pelosi, ben conosciuto da Pasolini, a fare da mediatore portandolo sul luogo del massacro.
Altri ostinati cercatori di verità sono David Grieco (La macchinazione, Rizzoli), Simona Zecchi (L’inchiesta spezzata di PPP, Ponte alle Grazie), Giovanni Giovannetti (Malastoria, Effigie). Ultima puntata, il volume di Giuseppe Oddo e Riccardo Antoniani, L’Italia nel petrolio (Feltrinelli) su Mattei, Cefis e «il sogno infranto dell’indipendenza energetica»: dove il mistero Pasolini è letto alla luce del suo ultimo romanzo, Petrolio, rimasto incompiuto . E dove Antoniani affronta le inequivocabili accuse rivolte da Pasolini a Cefis e la dibattuta questione del presunto furto di un capitolo dal dattiloscritto di Petrolio, il cui ritrovamento fu annunciato da Marcello Dell’Utri nel 2010, salvo poi essere smentito. In questi giorni il regista e giornalista Grieco su «globalist» scrive una lettera aperta a Ninetto Davoli, per anni compagno di Pier Paolo, invitandolo a fare luce sui troppi suoi silenzi: per esempio, sapeva che Pasolini conosceva da tempo Pelosi, e perché non l’ha mai detto? Con quell’ammissione i processi avrebbero preso un altro corso.