Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  dicembre 18 Domenica calendario

Parla la moglie di Ali Agca

Il suo nome è Elena Rossi ed è nata a Ravenna il 13 luglio 1967. Ha due lauree, una in scienze politiche a Bologna (1993) e una in filosofia, con lode, conseguita a Roma Tre (2003). Nel 1981, quando aveva 14 anni, un evento la colpì indelebilmente: l’attentato a Giovanni Paolo II compiuto da un giovane turco, Ali Agca, allora 23enne. Quella ragazza cattolica iniziò allora a scrivere lettere in carcere all’attentatore. Ora Agca è suo marito da sette anni. Vivono in Turchia, a Istanbul. Elena Hilal Agca (il secondo nome lo ha assunto dopo la conversione e il matrimonio), 55 anni, si racconta per la prima volta al Corriere.
Come ha iniziato a interessarsi della vicenda di colui che sarebbe diventato suo marito?
«Subito dopo l’attentato a Wojtyla, ancora ragazzina. Cominciai a scrivergli lettere in carcere. Durò per qualche anno, poi lasciai perdere».
Cosa accadde dopo?
«Il mio interesse per lui si è riacceso quando venne a Roma sulla tomba di Papa Wojtyla, nel dicembre 2014. Mi procurai il suo indirizzo mail e lo contattai, specificando che ero quella Elena che gli scriveva in carcere. Lui si ricordava delle mie lettere, così cominciammo a telefonarci».
Com’è Agca in privato?
«È molto buono, gentile, premuroso, a volte mi sembra che mi veda più come una figlioletta che ha adottato piuttosto che come una moglie. Nonostante i tanti anni di prigione, è sano fisicamente e mentalmente, salutista, sportivo e molto disciplinato. Io sono tutto l’opposto! È animato da una fede profonda, ma senza essere integralista o bigotto».
Quando maturò il progetto di una vita insieme?
«Ci siamo incontrati di persona per la prima volta nel gennaio del 2015 a Istanbul e, dopo pochi mesi di convivenza, abbiamo deciso di sposarci nell’ottobre successivo».
I suoi genitori come presero la decisione di sposare un uomo a dir poco particolare come Ali Agca?
«I miei genitori sapevano solo che avevo sposato un turco, ma non che si trattasse di Alì Agca... già all’epoca non stavano molto bene, così ho preferito non dire nulla. Adesso un po’ mi rammarico di aver nascosto loro la verità. Penso che avrebbero accettato Alì».
Fu lui a chiederle di convertirsi all’Islam?
«Lui non mi ha mai chiesto nessuna conversione. La scelta è stata mia».
Ora vivete a Istanbul. Avete dei figli?
«Nessuno dei due è mai stato sposato prima e non abbiamo figli, né insieme né separatamente».
Lei e suo marito come vi mantenete? Lui si ritiene vicino al governo di Erdogan?
«Economicamente stiamo bene, nonostante l’aumento dei prezzi qui la vita è decisamente meno cara rispetto all’Italia. Abbiamo una villetta di tre piani, sul mare di Marmara, e l’ultima bolletta della luce è stata di 23 euro! Politicamente Alì rimane un “lupo grigio”, un idealista, dunque si colloca sulla destra. Prova rispetto e ammirazione per il presidente Erdogan: lo ritiene l’unico uomo in grado di garantire stabilità alla Turchia».
Ritiene che Agca sia stato manipolato da qualche servizio segreto?
«Alì, nella lettera di sei pagine inviata a Pietro Orlandi, ha detto la pura verità sull’attentato al Papa e sulla vicenda Orlandi-Gregori. Certo che lui è stato manovrato: da uomini del Sisde, dai Servizi vaticani, dalla Cia, e per Cia intendo Gladio, quanto c’é di più pericoloso al mondo, secondo quanto mi racconta Alì».
E l’attentato a Giovanni Paolo II?
«Dietro l’attentato al Papa non c’è nessuno, questo Alì me lo ha sempre detto. Lui è stato strumentalizzato dopo. Nonostante i vari occultamenti, l’origine dei soldi che aveva in tasca al momento dell’attentato è dimostrabile. I vari soggetti sopracitati si sono scatenati dopo, in quanto pretendevano che Alì accusasse i Servizi bulgari e quindi il Kgb sovietico, in realtà totalmente estranei all’attentato. Il sequestro di Emanuela e di Mirella si collocano esattamente in questo contesto».
È comprensibile che lei, da moglie, dica questo, ma le indagini hanno dimostrato altre verità. Quindi perché dovremmo credergli ora quando parla della vicenda di Emanuela Orlandi?
«Come ha sempre detto a Pietro Orlandi, Alì ritiene che entrambe le ragazze siano state prese direttamente dal Vaticano, e che siano state collocate in un convento di clausura. In quanto a Emanuela ha avuto rassicurazione da parte di un sacerdote che, almeno fino a tre anni fa, era viva. Gli hanno mentito? Può essere. In ogni caso, lui ritiene che se dovesse essere venuta a mancare, è stato per cause naturali, “perché la Chiesa non uccide il suo gregge”».
Pensate in futuro di tornare in Italia?
«In Italia non credo proprio, io vorrei restare in Turchia, lui a volte pensa che potrebbe essere bello trasferirsi in un Paese straniero, magari in Tunisia, anche solo per un periodo. Vedremo cosa ci porterà la vita».