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 2022  dicembre 18 Domenica calendario

Intervista a Linus

Diciotto anni fa, nel 2004, nel film Natale a Casa Deejay – tratto in maniera abbastanza disinvolta dal Canto di Natale di Charles Dickens del 1843 – si ritagliò il ruolo di Ebenezer Scrooge, il taccagno cattivone che alla fine si redime. Chissà se era una specie di esorcismo, solo un gioco, o una mezza verità. Oggi Linus, il grande capo di Radio Deejay, a 65 anni si racconta senza filtri, si spiega meglio, sembra quasi sincero, e forse lo è pure. Sarà lo spirito del Natale.
Quante carognate deve farsi perdonare?
«Nessuna. Se ho fatto un torto a qualcuno gestendo Deejay non l’ho mai fatto per interesse personale ma della radio stessa. Sono come un allenatore che per il bene della squadra deve fare delle scelte. E io le ho sempre fatte: a qualcuno ho detto che non avrebbe più giocato con noi. Sono pagato anche per fare questo».
Quindi non ha conti da saldare?
«Zero. Quelle pochissime persone con le quali ho chiuso i rapporti, non mi interessa recuperarle. E non credo che in punto di morte ci ripenserò».
Il più buono con lei chi è stato, esclusi i parenti stretti?
«Non lo so. Associo la bontà nei miei confronti a momenti infantili, al massimo adolescenziali. Mi viene in mente Paderno Dugnano: eravamo una delle poche famiglie meridionali del quartiere e tutti sono sempre stati molto accoglienti e generosi con noi».
A chi deve un po’ di gratitudine?
«Non posso non citare mia sorella Maria, che ha tre anni più di me. Mi ha fatto da autista, motivatrice e complice. E ha anche trasmesso a me e a mio fratello la passione per i Beatles. E quando nostra mamma è morta ha tenuto insieme la famiglia».
E lei, chi ha miracolato?
«Non voglio prendermi meriti non miei, ma forse Nicola Savino. Io sono quello che gli ha dato fiducia all’inizio e con me ha fatto il primo gradino di un percorso tutto suo che l’ha portato al successo grazie a un talento, una costanza e una determinazione eccezionali».
E fra i cattivi chi mette, chi ce l’ha con lei?
«Dovrei citare solo un nome ma non lo farò perché non voglio alimentare una cosa che vive solo nella sua testa, nonostante io non gli abbia fatto niente».
Lo faccio io: Claudio Cecchetto?
«A cosa serve vivere di rancori?».
Nel 2023 ha il contratto in scadenza con la radio: lascerà?
«No. Però vorrei vivere più tranquillamente e cambiare le mie dinamiche professionali. Sono come lo stilista di una casa di moda di successo: ho dato un’impronta forte, ma ora ho bisogno di qualcuno al mio fianco a cui trasmettere il sapere ma che pensi anche ad asole e bottoni».
Il 2023 per lei è un anno particolare anche per motivi privati, giusto?
«Il prossimo anno compirò 66 anni, la stessa età che aveva mia madre quando se ne andò. Era del 1923 e queste coincidenze mi mettono l’ansia... Io ho il suo stesso carattere. Tendo al cupo e al solitario come lei».
E da solo ci sa stare?
«No. Cerco la solitudine, ma se mia moglie va a trovare i suoi per un weekend, da solo non riesco a guardare neanche la tv. Mi deprimo tantissimo».
Il futuro come lo vede?
«Detesto la parola futuro. È una truffa. Le cose ormai cambiano in maniera velocissima. Ora penso solo a quello che farò dopo l’estate 2023».
E cosa farà?
«Sono ossessionato dal Milan degli immortali di Sacchi, composto da grandissimi campioni che poi sono invecchiati tutti insieme, di botto. In radio temo la stessa cosa. Vorrei fare degli inserimenti, ma non è facile trovare i nuovi Fabio Volo, La Pina o Nicola Savino».
È mai stato sul punto di lasciare tutto? Lavora nella stessa azienda da 38 anni...
«Sì. Prima del 94 volevo puntare sulla tv, come tanti altri, ma poi sono diventato direttore e non ho più avuto il tempo di pensarci».
Ha comprato il regalo di Natale a Elkann, che dal 2020 è il nuovo proprietario della radio?
«Non abbiamo quel livello di confidenza».
Un tifoso juventino come lei, dopo le ultime turbolenze, diciamo così, gli ha mandato un wapp di solidarietà?
«Sì. Gli ho scritto dicendogli che sono a disposizione per dare una mano a migliorare l’immagine della Juve. Gratis, ovviamente. Ho sempre sofferto l’idea di arroganza che trasmette la Juve. Andrea Agnelli ha fatto bene fino a un certo punto poi si è avvitato».
Elkann cosa le ha risposto?
«Magari».
La sua azienda anni fa le promise una Ferrari in regalo se fosse arrivato a sei milioni di ascoltatori al giorno, ma lei non ce la fece, vero?
«Vero. Mi fermai a 5 milioni 980 mila. Niente Ferrari».
E ora ha una Porsche Targa?
«Sì. Ho fatto anch’io questa stupidaggine. È un’auto che, la vita non fa sconti, mi sono permesso non avendo più il fisico. Si guida quasi da sdraiati e per uscire devo rotolare perché non posso neanche aggrapparmi al tettuccio, che è di tela. Diciamo che è come comprarsi un quadro. La uso ogni tanto».
Vent’anni anni fa fece il remix del monologo Accetta il consiglio, quello del film The Big Kahuna con Kevin Spacey e Danny DeVito. In pratica, un lungo elenco di suggerimenti e considerazioni esistenziali. Tipo quello che dice: Goditi il tuo corpo. Usalo in tutti i modi che puoi, senza paura e senza temere quel che pensa la gente. A parte la corsa e la bici si è dato da fare?
«Per niente».
Quante donne ha avuto?
«Se sono state dieci in tutta la mia vita è un miracolo. Con la prima moglie sono stato undici anni, fino al 92, e subito dopo mi sono messo con Carlotta, la seconda. Con le donne sono sempre stato un po’ imbranato. Ero così anche negli Anni Ottanta, periodo di cui non ho un buon ricordo».
Perché?
«Forse perché si divertivano tutti e io no: bisognava vivere la notte, fare cazzate, drogarsi».
Droghe, le ha provate?
«Certo. Come faccio a essere della mia generazione e non averle provate?».
Tutte quelle che andavano in quegli anni?
«Tranne l’eroina, sì. Dopo una serata in discoteca faceva parte del gioco. Dopo il cachet c’era anche il regalino. Mai preso il vizio, però».
Da anni, dopo aver fatto il consigliere del sindaco Sala a Milano, si parla di un suo impegno in politica: ci siamo?
«Non dico che non mi piacerebbe, penso che potrei anche fare bene, ma non credo di averne i requisiti. È come presentare il Festival di Sanremo».
Che vuol dire?
«Sarei capace di presentarlo e sarei un ottimo direttore artistico ma non ho quella credibilità popolare che ha Amadeus. Lui è un uomo Rai1, perfetto per quel mondo lì, io no»..
A proposito di Sanremo, fra i big c’è Lazza: saprebbe cantarmi una sua canzone?
«No. So chi è, però. Ma non mi faccia fare la figura del vecchio, su...».
E una di Lda.
«So chi è, il figlio di Gigetto (Gigi D’Alessio, ndr)».
E di Mara Sattei?
«La sorella di Tha Supreme. Quando è venuta da me a Deejay chiama Italia poi si è lamentata sui social perché le ho chiesto del fratello. Mi ha dato del maleducato».
Chi vince il Festival?
«Ultimo. Mi incuriosisce Chiara Ferragni, è una macchina da guerra».
In The Big Kahuna si dice di buttare gli estratti conto: i suoi con la nuova proprietà sono migliorati?
«Il mio compenso è lo stesso da dieci anni. Ed è più di quello che mi serve».
Quanto in un anno? Con sei zeri?
«Almeno sei zero, certo. Me lo merito, anche se da qualche anno non me ne frega più niente dei soldi».
Quindi se le chiedo quanti ne ha in banca non lo sa?
«Non ne ho la minima idea. Poi con tutto quello che è successo in borsa negli ultimi anni...».
Preoccupato?
«Per niente. Mi dispiace solo che la vita sia così breve. Vorrei avere il doppio del tempo».