La Lettura, 17 dicembre 2022
I pastori dei Vangeli
La Natività, Luca e i pastoriDi natività si parla solo in due Vangeli canonici: in quello di Luca, l’unico con il racconto dei pastori, e in quello di Matteo, con l’episodio dei Magi. Luca guarda a Roma e all’Occidente; Matteo all’Oriente e alla comunità giudaica. Luca è attento ai poveri e ai marginali investiti da un annuncio di salvezza universale e ha per protagonista Maria; Matteo si concentra sulla figura di Giuseppe. Sono distinzioni non da poco, sottolinea Marinella Perroni, la studiosa che ha fondato il Coordinamento Teologhe Italiane. «Luca e Matteo insistono sull’infanzia di Gesù per far passare il messaggio che quel bimbo è Dio da sempre, non lo diventa con gli anni. Sono processi complessi che vanno rintracciati nelle diverse culture e nei loro strumenti narrativi». Aggiunge Piero Stefani, teologo ed esegeta: «Mosè è pastore, Davide è pastore, Dio è pastore del suo popolo». E, nota Rosanna Virgili, docente di Esegesi all’Istituto Teologico Marchigiano, alla Facoltà Teologica Pugliese e all’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Rimini: «Luca usa una categoria sociale nota, quella dei pastori, che però ha diverse simbologie. Quella religiosa: Dio non ha più bisogno di un tempio per visitare il suo popolo, ma bivacca tra i pastori; e quella politica: Betlemme è la città di David, pastore come Mosè, giganti della storia di Israele che furono però attaccati e osteggiati, due “emarginati” come Gesù. Dunque Dio sceglie quelli che il mondo scarta. Infine Luca contrappone la figura di Gesù, che viene dalle periferie, all’imperatore Augusto, il divus di Roma, ma anche ai passati re di Israele, corrotti contro cui si leva la querela dei profeti: “Guai ai pastori d’Israele, che pascono sé stessi!”».
Dello stesso avviso è suor Grazia Papola, che insegna alla Facoltà Teologica di Milano e all’Istituto di Scienze religiose San Pietro Martire di Verona: «Con i pastori Luca non sta narrando un aneddoto folcloristico, ma sta già annunciando il messaggio del Vangelo. Il significato di queste figure non è univoco. Se si tiene conto del contesto storico dell’epoca, i pastori, che conducevano una vita nomade o seminomade, erano visti con disprezzo e terrore dai sedentari, un po’ come da noi oggi sono considerati gli zingari. In uno dei trattati più famosi del Talmud (Sanhedrin 25) si afferma che i pastori non potevano essere eletti giudici né essere citati come testimoni a processo perché impuri a causa della convivenza con gli animali e disonesti a motivo delle loro violazioni dei confini territoriali. Rappresentavano una classe emarginata, disprezzata. Se però si allarga lo sguardo al complesso della tradizione biblica, il significato si amplia in una direzione diversa. Nell’Antico Testamento i grandi personaggi, Mosè, Davide, prima di diventare guide del popolo, sono stati effettivamente pastori, nel Nuovo Testamento il termine pastore è sempre applicato a Dio, a Gesù e ai responsabili delle comunità».
Va tutto inserito in un racconto più ampio, osserva Silvano Petrosino, che all’Università Cattolica di Milano insegna Antropologia religiosa e media e Teoria della comunicazione: «Dio decide di incarnarsi, dove? In un piccolo popolo, in una zona periferica, nel figlio di un falegname e di una ragazza. Decostruisce l’idea di Dio re, che nel Vecchio Testamento libera gli ebrei dall’Egitto, che era l’America di allora, mentre alla fine si incarna in una figura “deludente”. Allo stesso modo nei pastori si richiama l’idea degli ultimi: la prima epifania è per loro, gli umili che non fanno del loro sapere un motivo di orgoglio, i credenti e non creduloni. Rivelandosi ad essi, Dio dice qualcosa di sé: l’umiltà è segno di grandezza». Don Flavio Dalla Vecchia è docente di Sacra Scrittura presso lo Studio Teologico Paolo VI del Seminario di Brescia e di Lingua e letteratura ebraica all’Università Cattolica di Milano. «Nel contesto di allora i pastori non sono tanto diversi da quelli di oggi, non hanno una vita molto sociale. Hanno esistenze ai margini non tanto per le condizioni economiche – era comunque un lavoro dignitoso, tanto che il Signore è Dio pastore – ma per il loro nomadismo. Il Vangelo di Luca con questo annuncio ci dice subito che Gesù è venuto a condividere un modo di essere normale. L’angelo parla ai pastori perché sono l’immagine futura di Gesù».