il Giornale, 17 dicembre 2022
Biografia di Igor Ebuli Poletti
Le sue presentazioni sono differenti: Igor Ebuli Poletti parla del suo nuovo libro a Pavia una domenica pomeriggio, il volumetto è fresco di stampa, eppure siamo in una libreria antiquaria. Anche lui è fatto così, come le sue presentazioni: differente. Per abitudine gira con le caviglie nude, oggi invece ha deciso per le calze, però scompagnate. Gli amici lo prendono in giro per l’abbondanza di barba e capelli, sostenendo che somigli a Ian Anderson, il leader dei Jethro Tull, nel periodo d’oro dell’ipertricotico musicista specializzato in assoli di flauto: ma qui in libreria, anziché uno strumento a fiato, che pure suona, Igor Ebuli Poletti mentre parla del suo libro afferra e sciabola nell’aria un piumino verde, di quelli che si usano per spolverare i termosifoni.
Dandy, ma con moderazione, è fissato con le camicie estrose, con le giacche british, soprattutto con le pochette, che infatti porta anche oggi, però nel taschino del cappotto. Gli fa da spalla l’editore, con cui forma una strana coppia: il patron di Blônk lo supera in altezza di una spanna, è senza capelli, ha una lunga barba scura, è un omone serioso che ricorda Mangiafuoco e che, forse per risultare complementare al suo autore, indossa uno sconcertante paio di scarpe giallo canarino. Noi del pubblico, appunto sconcertati, ma anche un po’ rapiti, osserviamo costoro leggere brani di Islande: quasi tutte e divagare a colpi di nonsense, poi fingere litigi, poi anche colluttazioni, mentre Ebuli Poletti brandisce il piumino verde e si siede, si alza, si risiede di continuo, ipercinetico e frenetico. Poi, mentre la presentazione è al suo culmine, in un balzo raggiunge la porta della libreria, la spalanca, e chi entra? Giulio Tremonti. Ma sì, proprio l’Onorevole Tremonti, il ministro delle Finanze durante i governi Berlusconi.
Con Igor Ebuli Poletti non sai mai cosa aspettarti, e anche un ministro che compare a una sua presentazione tutto sommato rientra nel possibile. Le sorprese con lui sono la regola. Il twist imprevedibile nell’ordine delle cose, l’improvvisazione impertinente, il nonsense stile libero, sono la sua forza e il suo pregio, nella realtà e nei libri. Islande: quasi tutte (pagg. 122, euro 12) è il terzo. L’hanno preceduto Olanda: biciclette, mulini a vento e aringhe. Soprattutto aringhe (Blônk, 2019) e 100 tesi sul Giappone. Tutte sbagliate, uscito per Tedjo Edizioni Inutili, che altro non è che la sigla sotto cui Ebuli Poletti realizza le autoproduzioni. Quali? Per esempio l’infinita serie di copertine di falsi libri, consistenti in realtà del solo titolo, che pubblica quotidianamente nella girandola Facebook-Instagram-Twitter. I minigialli giapponesi: l’hosomaki di peltro – Jotaro indaga ma si rompe la clavicola, per dirne uno. AAVV: Annie Ernaux. Pensavo fosse un profumo, per dirne un altro.
Ma torniamo ai libri veri, di carta: Giappone, Olanda, ora Islanda. Sono libri di viaggio? Sì, però no. Sì, perché parlano di Giappone e giapponesi, di Olanda e olandesi, e in quest’ultimo naturalmente di Islanda e islandesi. No, perché Igor Ebuli Poletti in questi Paesi non ha mai messo piede. E nemmeno ha usato il nobile gioco letterario che fu di Salgari con la Malesia, o di Frederic Prokosch con l’Asia. Nessuna ricerca di minuziose documentazioni su atlanti e guide, ma solo filmati di YouTube presi come spunto per dare il via ad anarchiche divagazioni di pura fantasia. Che in Islande: quasi tutte si addentrano nella psicologia (capitolo «Il senso degli islandesi per il bello»), nella sociologia («Le porte islandesi»), nelle abitudini alimentari («Come tagliare a pezzi uno squalo prima di mangiarlo»), nella lingua («La lingua islandese o dell’inferno in terra»), insomma negli aspetti più privati, cari e sentiti degli islandesi. Lo ribadisco: inventando tutto di sana pianta, e senza alcuna preoccupazione per la verosimiglianza. Quel che cerca l’autore è, come si diceva, l’iperbole, la sorpresa, lo scarto imprevisto, il corto circuito, in una parola: il comico. In Islande: quasi tutte lo fa attraverso un ossessivo impianto canzonatorio che sta all’opposto del politically correct. Un islandese si offenderebbe a morte, leggendo questo libro. Ma solo se si fermasse alla prima pagina. Se continuasse non potrebbe che coglierne lo spirito bonario e inoffensivo, l’assenza di alcun astio verso l’Islanda, così come non c’era astio o disprezzo verso il Giappone o l’Olanda nei libri precedenti.
Ciascun paese è un campo-giochi che Ebuli Poletti usa per sfogare la sua tensione non verso lo sfottò, ma verso il paradosso. Quando vuole davvero denigrare, rivolge la sua ironia verso sé stesso, tanto da sembrare convinto di essere marchiato da una sorta di innata inadeguatezza, da una tendenza alla frana, al fallimento, all’anticlimax, di cui gli è necessario ridere per non disperarsi. Prendete la comparsa del ministro Tremonti: un vip alla presentazione di un tuo libro è una medaglia da appuntarsi al petto. Peccato che l’Onorevole abbia salutato tutti con grande educazione, sia transitato per il locale dove si presentava il libro, e si sia eclissato a fare acquisti nella stanza vicina. Della presentazione di Ebuli Poletti, temo, non ha ascoltato nemmeno una parola. Ma quando dopo pochi minuti è uscito, nessuna recriminazione da parte dell’autore.
Si è aggiustato la pochette, ha ripreso ad azzuffarsi con l’editore, a noi è scappata una risata, e via così, con leggerezza.