Il Messaggero, 17 dicembre 2022
Il discobolo che piaceva a Hitler
La fiera potenza plastica del Discobolo di Mirone aveva stregato la fantasia perversa di Hitler. Complice il film di Leni Riefenstahl dal titolo Oliympia, dove la millenaria statua romana si animava evocando (ed esaltando) la figura di un atleta ariano. Il führer si innamorò dell’opera conservata a Roma, e ne pretese l’acquisto. L’allora ministro dell’educazione Giuseppe Bottai tentò di opporsi, ma Filippo d’Assia, marito di Mafalda di Savoia, divenne il grande facilitatore della transazione (come di molti altri traffici d’arte). Il Discobolo, non a caso, compariva al primo posto nella lista di opere da acquistare inviata nella Capitale, sul tavolo di Mussolini. E il 9 giugno del 1938, proprio il Discobolo prese la strada per la Glyptothek di Monaco. Per restare in Germania fino alla fine della guerra, quando Rodolfo Siviero, il monuments man italiano per eccellenza, convinse gli Alleati che l’opera era stata acquisita violando il vincolo del 1909.
Eccolo il prologo alla grande mostra Arte Liberata. Capolavori salvati dalla Guerra, che da oggi è visitabile alle Scuderie del Quirinale fino al 10 aprile, curata da Luigi Gallo e Raffaella Morselli. La mostra racconta dieci anni di storia italiana, dal 1937 al 47. Inanella le vicende di capolavori d’arte e personaggi, storici dell’arte e funzionari dello stato, nomi oggi famosi, all’epoca giovanissimi, armati di etica e coraggio. Eroi silenziosi.
EROI SILENZIOSI
La loro fu un’impresa epica, il salvataggio del patrimonio italiano messo a rischio tra le esportazioni forzate, i bombardamenti (e pensare che nel febbraio del 43 a Milano una bomba cadde a venti metri dal Cenacolo di Leonardo). E i vari tentativi di razzie da parte dei tedeschi. Finisce con il 1947, anno emblematico del ritorno delle opere in Italia. «Quello che è importante è che si celebra una identità civica e umana che trova radice nel patrimonio – commenta Mario De Simoni, presidente delle Scuderie del Quirinale – Uomini e donne che agiscono e si muovono come spiriti nella notte, per citare Lucio Battisti». Un racconto che scorre grazie ad oltre cento opere sopravvissute ai deliri della Seconda Guerra Mondiale e dei suoi carnefici. Hitler con la sua smania di grandezza, il comandante Hermann Göring con i suoi sogni bulimici da signorotto rinascimentale. E accompagnate da filmati, documenti, fotografie (grazie all’Istituto centrale per il Catalogo e l’Archivio Luce), persino scene di film come Paisà di Rossellini che inquadra il Corridoio Vasariano degli Uffizi ancora ingombro di casse di opere d’arte, perché «ogni prestito in mostra è strettamente ragionato all’interno di una vasta ricerca tra archivi e soprattutto i diari personali dei protagonisti», precisa De Simoni. La Danae di Tiziano, la Santa Palazia del Guercino, il Cerbiatto da Ercolano, ambito da Göring appassionato di caccia, e il ritratto di Alessandro Manzoni di Hayez, la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca,
ANTONIO CANOVA
Quasi un parallelo storico con l’impresa di Antonio Canova che, nel primo Ottocento, riportò in Italia le opere requisite da Napoleone. Ed è una felice coincidenza, scrive nel catalogo il ministro della Cultura Gennaro Sanfelice, che «questa mostra si apra nell’anno dedicato ad Antonio Canova a 200 anni dalla sua scomparsa, un altro italiano che fu protagonista di una faticosa opera di recupero del patrimonio artistico oltraggiato da conflitti». La mostra focalizza, allora, le trame di un mercato forzato dell’arte negli anni più duri. Si ricordano Pasquale Rotondi (che poi diventerà direttore dell’Istituto per il Restauro durante gli anni dell’alluvione di Firenze) e Emilio Lavagnino, impegnati nell’allestimento dei depositi nazionali segreti. «Urbino era lontana da tutto – dice Luigi Gallo – Tra Sassocorvaro e Carpegna ricoverarono in tempi strettissimi, in alcuni casi poche ore, in altri impiegarono qualche settimane, opere dalle regioni centrali e settentrionali. Oltre 10mila pezzi, tra dipinti, libri, spartiti musicali, arazzi». Opere che nell’inverno alla fine del 43 vennero trasferite nel posto più sicuro possibile, il Vaticano: «Era considerato l’unico territorio fuori dalla guerra – sottolinea Gallo – Un’altra impresa guidata da Giulio Carlo Argan che divenne responsabile di tutte le opere consegnate al Vaticano. Protagonisti, il cardinale Montini che diventerà papa Paolo VI e Bartolomeo Nogara allora direttore dei Musei Vaticani».
I DIARI
«Ci tenevamo – avverte Raffaella Morselli – a cucire tanto materiale sul filo narrativo dei diari personali dei protagonisti, Palma Bucarelli, Fernanda Wittgens, Noemi Gabrielli, Jole Bovio. Testi in cui si percepisce tutto lo stress e l’ansia di fare cerete scelte». Già perché Giuseppe Bottai aveva realizzato un piano sicurezza del patrimonio stilando tre liste: quella dei capolavori, quella delle opere di serie b e quelle da lasciare indietro non potendo portare in salvo tutto. «Il dilemma, allora, fu proprio quello di scegliere cosa salvare, come su un’arca di Noè», spiega Morselli. Il gran finale della mostra è tutto sulla Danae di Tiziano. L’opera (trafugata da Napoli) spicca accanto alla foto d’epoca di Siviero che la guarda, quando venne restituita all’Italia nel 1947. Lui, il più grande agente segreto del patrimonio italiano, 007 sotto il regime fascista, e partigiano dopo il 43. Pensare che Göring teneva il quadro nella sua camera da letto.