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 2022  dicembre 17 Sabato calendario

Intervista a Dario Bressanini, lo scenziato che spiega come pulire casa

Galeotto fu il Piccolo Chimico, quello serio, degli Anni 70, con provette, palloni di vetro, fornelletti ad alcol e reagenti: «Me lo regalarono i miei genitori in terza elementare. Oggi non è più così: togliendo tutto ciò che può essere vagamente pericoloso, è diventato deludente e noioso». Così si accese la scintilla, per gioco. Cinquant’anni dopo Dario Bressanini, docente di chimica all’Università dell’Insubria a Como e ricercatore di professione, è un divo dei social e autore di best seller. L’ultimo, La scienza delle pulizie. La chimica del detersivo e della candeggina, e le bufale sul bicarbonato è da sei settimane nella top ten dei libri più venduti.
Torniamo a lei bimbo in terza elementare: si immaginava che “da grande” avrebbe avuto tanto successo con un libro così pop sulle pulizie?
«Il Dario piccolo mai avrebbe pensato di scrivere libri, tanto meno di avere successo. Il testo precedente, La scienza delle verdure, era già andato bene. Grazie al mio zoccolo duro di lettori credevo di eguagliare quel risultato, invece ho superato ogni aspettativa».
Come se lo spiega?
«Sono riuscito a intercettare pubblici diversi, c’è chi mi legge perché interessato alla pulizia, chi perché incuriosito dalle spiegazioni scientifiche ma anche chi è in cerca di consigli per risparmiare sulla spesa: sapere che un certo detersivo non fa miracoli come racconta la pubblicità può influire sugli acquisti».
Mentre scriveva aveva in mente un lettore preciso? La casalinga di Voghera, la nonna o gli studenti...
«In realtà pensavo a tutti i miei follower».
Oggi quanti sono?
«Più di mezzo milione su Instagram, mezzo milione su YouTube e 290 mila circa su TikTok, dove ho aperto da poco il profilo».
Chi sono?
«Tanti cuochi, poi studenti, agricoltori, gente comune».
Come possiamo definire il suo libro?
«Un saggio scientifico ma travestito da manuale, così i lettori non si spaventano».
Davvero tanta gente vuole sapere come smacchiare la camicia, togliere la patina nera dai gioielli e quale detersivo usare per la lavastoviglie?
«Me ne sono reso conto monitoranto i social. Esiste un pubblico ampissimo che vuole capire le cose da un punto di vista scientifico e le opportunità per farlo non sono così tante: gli inserti e i giornali scientifici, infatti, sono sempre meno».
Beh, ma ci sono molti saggi per questo...
«Spesso intimoriscono, non ci si sente in grado di affrontarli, li si immagina difficili e complicati. Durante la pandemia tanti mi scrivevano per avere spiegazioni, per sapere perché un prodotto funzionasse meglio di un altro o la differenza tra un gel igienizzante e un disinfettante. Chiedevano di essere aiutati a interpretare certi dati. Questi anni ci hanno dimostrato quanto la conoscenza permetta di valutare meglio le informazioni che ci arrivano».
E quanto fossimo inesperti...
«Esatto, anche molte istituzioni erano impreparate. Se penso ai sindaci che spargevano la candeggina sulle spiagge...»
Il Covid ci ha sensibilizzato sulla pulizia?
«L’attenzione, in realtà, c’era già ma non era intercettata. Ho una cartella nel computer dove mi appunto i libri che vorrei scrivere in base all’interesse potenziale del pubblico ed erano anni che annotavo i numerosi gruppi Facebook per appassionati di pulizia: ce n’è uno dedicato alla lavatrice, ad esempio, con più di 300 mila iscritti. Il successo del libro di Marie Kondo sull’arte del riordino lo dimostra: a volte ci sono curiosità diffuse e concrete che hanno solo bisogno di essere colte».
I suoi studenti come hanno reagito all’uscita del libro?
«Ne pubblico tanti, sono abituati e molto discreti».
Quindi non commentano?
«Capita spesso che vorrebbero l’autografo sul libro per regalarlo alla mamma o al fidanzato, però me lo chiedono sempre e solo dopo aver superato l’esame, perché non possa pensare che vogliano influenzarmi. A me piace molto insegnare, durante le lezioni do sempre spazio anche alle loro curiosità e alle domande extra corso».
Si ricorda il debutto sui social? Come è andata?
«Ho iniziato per caso a fare divulgazione, nel 2004, proponendo piccole storie alla rivista Le Scienze sulla chimica e sulla matematica, l’altra mia grande passione. Ed è nata una collaborazione mensile. Da quel momento sperimento di continuo, per cercare nuove “piazze” oltre alla carta stampata: con la nascita dei blog, ne ho aperto uno anche io, “Scienza in cucina”, dove approfondivo tutto ciò che non trovava spazio su Le Scienze. Mi sono accorto che riuscivo a raggiungere lettori diversi. In breve è diventato il primo blog scientifico in Italia».
Poi ha scoperto Facebook...
«Su Instagram e YouTube, invece, sono arrivato dopo, grazie a mio figlio Simone: mi ha convinto lui nel 2015».
Come?
«All’epoca era alle scuole superiori e un giorno mi ha detto: “Papà, se ti piace tanto la divulgazione e vuoi rivolgerti anche ai più giovani ci trovi su Instagram e YouTube: Facebook ormai è per vecchi e noi non leggiamo riviste e giornali”. Quindi ho cominciato a documentarmi e ho scoperto che in Italia nessuno si occupava di informazione scientifica su questi nuovi social, eppure il pubblico potenzialmente era numeroso. Così ho provato ed è andata benissimo».
Ora è anche su TikTok: cosa le chiedono lì i ragazzi (giovanissimi)?
«All’inizio per loro ero uno sconosciuto. Ho utilizzato un linguaggio diverso»
Cioè?
«Se su Instagram mi dilungo in spiegazioni, su TikTok faccio video brevi con tanti esperimenti su temi che possano incuriosirli».
Ad esempio?
«Ho raccontato la differenza tra lo zucchero di canna e quello bianco oppure cosa contiene la Coca Cola. Sulla candeggina sono meno interessati, ma il video sui detersivi per i piatti è andato molto bene. Spesso mi segnalano loro gli argomenti o mi “taggano” sotto altri video per chiedermi spiegazioni. Io interagisco sempre: sui social è fondamentale».
Al supermercato ci va lei?
«Sempre io, ormai i commessi mi conoscono».
Avranno timore reverenziale...
«No, anzi. Chiacchierano volentieri e mi coinvolgono: “Proff, guardi questo nuovo prodotto..."»
Da consapevole come affronta lo scaffale dei detersivi: è più tranquillo o ha l’ansia da prestazione?
«Vivo il supermercato come una sorta di museo con un sacco di oggetti esposti, dove arrivano sempre “nuove collezioni”, ogni volta da scoprire e capire. Se guardi e passi non serve a nulla, bisogna leggere la didascalia. È il mio metodo: entro e studio le etichette per capire cosa contiene il prodotto, sono un po’ un Indiana Jones».
Discute con sua mamma sulle pulizie?
«Può capitare che la aiuti, ad esempio quando si intasa il lavandino, ma in genere preferisco parlare di cucina e ricette della tradizione con lei. Voglio che mi insegni a preparare qualche piatto».
Non le chiede nemmeno consulto sui detersivi?
«Quello sì, specie quando sull’etichetta trova la “E” seguita da un numero. Ha timore degli additivi».
In effetti fanno un po’ paura…
«Ecco, questa è la chemofobia: la paura o il sospetto verso qualsiasi sostanza che abbia un nome “chimico"».
E lei cosa le dice in questi casi?
«Le spiego: “Mamma, tranquilla, quello è acido citrico, serve solo ad abbassare il ph, è un conservante"».
Confessi: che cosa le ha fatto di male il bicarbonato?
(ride) «Lui nulla, ma gli vengono attribuite doti miracolose che non ha, chimicamente non può proprio farle certe cose».
Lo scrive anche nel libro: “Ogni volta che qualcuno mischia aceto e bicarbonato un chimico muore”.
«Sì, di crepacuore. L’ho preso come simbolo dell’anti-chimica. Pur essendo un prodotto chimico-industriale, infatti, viene percepito come qualcosa di naturale e quindi innocuo. Ho voluto sfatare un mito, puntare lo spillo sulla bambolina voodoo del bicarbonato».
Insomma, la cito: non sbianca, non disinfetta e non lava. Ma qualcosa di buono lo farà...
«Sì, a volte sembra che funzioni, ad esempio agisce contro gli odori acidi. Ma non mitizziamolo».
Invece quanto sono bravi i tensioattivi, vero?
«Beh, sono loro che fanno “il lavoro sporco”. Tensioattivi è il termine che indica una classe molto ampia di molecole. Hanno proprietà particolari. Sono i precursori dei saponi, i quali, nonostante quello che si crede o che ci fanno credere, non sono affatto prodotti naturali, ma frutto di una geniale lavorazione chimica. Per questo sono molto orgoglioso dei chimici che in passato, inconsapevolmente, hanno scoperto la reazione (per altro anche pericolosa) per creare i saponi. Nell’ultimo secolo l’industria ne ha prodotti tanti tipi per usi sempre più specifici. Quello che noi chiamiamo “sapone liquido”, ad esempio, è in realtà un detergente: contiene sempre tensioattivi ma molecole diverse».
Oggi sta (ri)vivendo un momento d’oro il mitico “Sapone di Marsiglia"…
«È un nome generico ormai, indica un sapone duro, a scaglie, ma l’olio d’oliva che conteneva un tempo ora non c’è più. In passato esisteva solo questo tipo di sapone, ecco perché ha avuto grande successo. Lo si utilizzava per tutto, per lavare il pavimento ma anche il viso o i vestiti. Ha però una controindicazione: pulisce bene i tessuti ma è molto aggressivo. Così le lenzuola si strappavano e bucavano, la pelle diventava secca. Con il tempo si sono scoperti detergenti più indicati e delicati».
Lei lo usa? Per cosa?
«Con le macchie di unto molto persistente o nella zona delle ascelle su certe t-shirt: è un sapone conosciuto da tutti molto bene, rispetto ad alcuni detersivi per lavatrici, per questo ci rassicura».
Fabbrica detersivi fai da te?
«Come qualsiasi chimico ho fatto e faccio qualche esperimento ma solo per divertimento, perché altrimenti servirebbe una lunga serie di “controlli sanità”. Mi sono divertito, ad esempio, a costruire un sapone trasparente: trovare la ricetta nel mio libro».
È vero che pulisce il paiolo con il ketchup scaduto?
«Sì, mi è capitato. Era avanzato e mi serviva un acido, era perfetto. Siccome il ketchup è gelificato rimane in posizione e si riesce a pulire bene».
Ricorda il tizio della pubblicità Anni 80 che proponeva di scambiare il suo Dash con due fustini di un detersivo anonimo? Se lo incontrasse oggi che gli direbbe?
«Gli direi: “Fammi vedere l’etichetta e la composizione, poi ne parliamo”. Oggi forse vorrebbe barattare il flacone di plastica con la pastiglietta da sciogliere in acqua, ma gli chiederei la stessa cosa: “Dimmi cosa c’è dentro"».
Giochiamo: nella famosa isola deserta quale detersivo si porterebbe?
«Il sapone di Marsiglia, non mi serve altro: anche perché sull’isola non avrei la lavatrice».
Niente bicarbonato quindi?
«Quello potrei portarlo come anti-acido, un antidoto alla rabbia per essere finito da solo su un’isola deserta» (ride).
Cosa possiamo trovare nella cartella del computer che racchiude i suoi progetti?
«Un paio di idee in cantiere. Avevo chiesto ai miei follower se preferivano che scrivessi prima un libro sulle pulizie oppure un saggio vero e proprio sulla disinformazione alimentare, sulla scienza utilizzata a sproposito per sponsorizzare diete o prodotti, come il sale rosa dell’Himalaya (che non ha nessuna proprietà particolare ed è rosa per via dell’ossido di ferro)».
Immagino abbia vinto il sondaggio il libro sulle pulizie…
«Sì, quindi vuol dire che ora posso lavorare sull’altro. E poi vorrei scrivere un libro a fumetti per raccontare come la scienza e gli scienziati siano stati rappresentati dai supereroi tanto da influenzare un’intera generazione di ragazzi, oggi scienziati come me».
Quindi se possiamo leggerla dobbiamo ringraziare Il Piccolo Chimico e i fumetti..
«Pensi a Reed Richards dei Fantastici 4, era uno scienziato, Peter Parker nell’Uomo Ragno era uno studente di Scienze, Flash un chimico, Hulk un fisico nucleare».
Quale libro ha sul comodino?
«Di solito non leggo narrativa ma fumetti, appunto, se voglio divertirmi, e saggi per documentarmi. Ho appena finito L’uomo con la faccia in ombra di Tito Faraci: racconta come scrivere una sceneggiatura di fumetti. E poi, ho anch’io il vizio di tutti gli appassionati lettori…»
Ovvero?
«Compro sempre molti più libri di quanto riesca davvero a leggerne». —