Tuttolibri, 17 dicembre 2022
Chi era Lee Miller
«La bellezza sarà convulsa o non sarà», così si conclude Nadja il romanzo dello scrittore André Breton, uno dei padri del surrealismo, che ha evocato con questa donna fragile e misteriosa la musa assoluta, l’unica in grado di alimentare con la sua effimera presenza l’ispirazione necessaria per continuare a creare. Ma in quegli stessi anni c’è un’altra donna che, pur immersa in quell’incantata atmosfera culturale, si ribella a questo ruolo passivo e, anche se bellissima, decide con coraggio e prepotenza di essere la musa di sé stessa. Elysabeth Miller, per gli amici Lee, appare ancora oggi come una divinità irrequieta e vendicativa che fa saltare il banco, sovvertendo regole che perfino nei movimenti d’avanguardia più rivoluzionari costringevano le donne in una gabbia dorata e nonostante molte di loro possedessero talento e aspirazioni artistiche erano comunque soggette al capriccio dei grandi maestri che potevano decidere se illuminarle come stelle o lasciarle cadere nel buio. Lee, no: fin da quando era piccola è stato subito chiaro a tutti che sarebbe stato difficile imbrigliare la sua irrequietezza e oscurare la sua luce, soprattutto al padre che le aveva trasmesso la passione della fotografia come un’arma di salvezza. Nonostante le ferite dell’anima e del corpo che purtroppo non le furono risparmiate nemmeno nell’infanzia, Lee ha continuato spavalda a sovvertire gli stereotipi senza mai guardarsi indietro. Giovanissima, grazie ad uno dei tanti incontri fortuiti della sua vita, diventa modella di Vogue e risplende sulle copertine del giornale come l’incarnazione della flapper dei romanzi di Francis Scott Fitzgerald; a chiunque sarebbe bastata questa vita dorata da top-model nella vibrante New York degli anni Venti ma lei si stufa presto di essere contemplata e, insofferente agli sguardi che la divorano, è determinata a nascondere la sua luminosa bellezza dietro l’obiettivo. «Preferisco fare una fotografia che essere una fotografia», dichiara perentoria, e decide d’imparare un mestiere che poche donne all’epoca avevano l’audacia di intraprendere. Per farlo lascia tutto, senza rimorsi, e salpa su un transatlantico verso la Francia, dove diventa in breve l’allieva preferita del grande fotografo surrealista Man Ray. Quella parigina, però, è solo una delle innumerevoli esistenze di questa donna camaleontica che ad ogni giravolta non finisce di stupire i suoi amici più cari; non a caso tutti rimangono sbigottiti quando in un altro repentino cambio di scenario, ormai fotografa rinomata con studio personale a New York, miss Miller chiude bottega, sposa un miliardario egiziano e va a vivere al Cairo vestendo i panni di una signora dell’alta società.
Anche questa vita sarà provvisoria, un’altra anticamera per spiccare nuovi voli e naturalmente abbracciare nuovi amori, fino a quello definitivo con Roland Penrose, affascinante ed eccentrico critico d’arte che nel 1947 le darà l’unico figlio, Antony. Questa maternità tardiva la coglie di sorpresa, tra le tante esistenze mirabolanti non aveva previsto quella di madre e con il figlio, che pure adora, instaura da subito un rapporto conflittuale e competitivo. Nonostante le fughe e i tradimenti sempre alla luce del sole (corredo indispensabile del suo spirito libero), Lee intreccia con Roland la relazione più duratura della sua vita. È lui che riesce a riacchiapparla in extremis quando, dopo aver fotografato l’orrore dei campi di concentramento nazisti, Lee si inabissa nella depressione più nera. È una delle poche fotoreporter donne della Seconda guerra mondiale e i suoi scatti, grazie anche ad un consumato sguardo surrealista, risultano diversi da ogni altra documentazione dell’epoca: una sequenza di foto crude e al tempo stesso artistiche che ritraggono la realtà atroce del suo tempo con un’autenticità che resterà alla storia. Tornata dall’inferno della guerra, però, Lee non è più la stessa e decide di consegnare il suo passato all’oblio. La collezione di rullini che documentano il suo lavoro al fronte, le patinate copertine di Vogue e i ritratti surrealisti finiscono tutti nascosti in una scatola in soffitta, ma non per sempre. Sin dalla nascita, il figlio Antony ha convissuto con una donna problematica e infelice che ha sempre fatto fatica a capire non conoscendone la storia. Ma quando finalmente, anni dopo la morte della madre, sale nel solaio per cercare una foto della propria infanzia, il suo destino è segnato. «È stato come se qualcuno mi avesse derubato, privandomi della conoscenza di una persona eccezionale». D’improvviso si trova davanti a un’esplosione di verità che per anni gli era stata tenuta nascosta e da quel giorno decide di ricostruire meticolosamente la storia anzi le storie di Elizabeth Miller Penrose, un lavoro raccolto nello straordinario e accurato libro Le molte vite di Lee Miller, in libreria nella bella traduzione di Valentina De Rossi e Maria Baiocchi: uno scrigno prezioso che raccoglie decine di riproduzioni degli scatti più simbolici di Elisabeth e il racconto minuzioso delle sue innumerevoli esistenze che attraversando i decenni ci trasmettono ancora la scossa vitale di un’epoca e lo spirito vitale di una donna che è stata fino in fondo la musa di sé stessa. —