la Repubblica, 17 dicembre 2022
L’ultima tesi sulla morte di Pasolini
Per la prima volta, nel quasi mezzo secolo trascorso dall’omicidio di Pier Paolo Pasolini, un documento pubblico – la relazione della Commissione Antimafia della trascorsa legislatura – smentisce la versione ufficiale stabilita in sede giudiziaria: lo scrittore non fu ucciso dal solitario e sbandato Pino “la Rana” Pelosi dopo un incontro mercenario tragicamente degenerato, ma da un gruppo di individui. Lo avevano già affermato i coraggiosi giudici del Tribunale per i minorenni, ma poi Appello e Cassazione avevano ribaltato il verdetto. Era stata sancita una narrazione ben precisa: all’Idroscalo si era consumata quella che, con il linguaggio del tempo, in qualunque altro caso, la cronaca nera avrebbe definito «una squallida vicenda fra omosessuali». La notorietà del personaggio aggravava, se possibile, la stigmatizzazione del contesto. Mentre Alberto Moravia, agli affollatissimi funerali, ricordava con veemente commozione che era morto un poeta, e che di poeti non è che nascano poi tanti, e ci faceva capire che, con Pasolini, era morta una parte di noi, tutto un altro pezzo d’Italia, decisamente maggioritario, concludeva che, in fondo, dato il suo stile di vita, se l’era andata a cercare. Aveva buon gioco Stefano Rodotà a commentare con amarezza l’esito processuale: Pasolini era «oscenamente vissuto e oscenamente morto, senza un residuo di dubbio a inquietare le coscienze».
C’è, dunque, nella relazione dell’Antimafia, come un tardivo riconoscimento: abbiamo sbagliato, non sappiamo ancora tutto sulla tua morte. Ma la Commissione va oltre. Ipotizza che fra gli esecutori possano esservi elementi della Banda della Magliana. Ne aveva già scritto Giovanni Giovannetti nel suo Malastoria.Il riferimento alla potente holding affaristico-criminale che imperversò a Roma sino alla fine degli anni Ottanta desta molte perplessità: nel ’75 quella banda semplicemente non esisteva. Sarebbe stata costituita due anni dopo, imponendosi sul mercato degli stupefacenti grazie ai soldi del sequestro del duca Grazioli, barbaramente trucidato. Ha un senso, invece, ipotizzare la presenza di elementi in origine legati ai Marsigliesi (erano loro i pezzi da novanta, in quel periodo) poi eventualmente confluiti nella futura Banda della Magliana. Magari elementi legati a quell’ala della Magliana più vicina a quei poteri occulti (dai Servizi deviati alle logge spurie) quanto mai attivi in quegli anni.
Se così stanno le cose, torna centrale la questione del movente. Accantonato quello sessuale, bisogna cercare altrove. Per esempio, nel furto delle “pizze” di Salò : il poeta si sarebbe recato a un appuntamento-trappola per recuperarle. E avrebbe invece incontrato la morte. Ma ammesso che sia andato al fatale incontro con la speranza di recuperare il suo film, perché ucciderlo, e in quel modo così brutale, che sa addirittura di martirio? Le modalità atroci escludono la tesi del pestaggio che degenera. Se era una trappola, era scattata per uccidere.
Qualche giorno fa David Grieco, regista del bel film La macchinazione, ha scritto una vibrante lettera aperta a Ninetto Davoli. Grieco racconta di una relazione sentimentale fra il poeta e Pelosi, che sarebbe stata nota all’entourage di Pasolini, ed esorta Ninetto Davoli a pronunciarsi sulla vicenda. Una conferma sgretolerebbe il movente dell’incontro casuale, e farebbe rivivere le piste alternative, alcune note da tempo. Della presenza, fra i possibili aggressori, di giovani neofascisti, indicati con tanto di nome e cognome, si era parlato persino nel primo processo. L’affare delle “pizze” viene rivelato da Sergio Citti nei primi anni Duemila. Pelosi, nel corso di dichiarazioni a formazione progressiva, sino alla morte nel 2017, si proclama innocente e fa anche lui qualche nome. Si è parlato, più volte, di un “commando” omicida misto di neofascisti e borgatari intenzionato a punire un intellettuale scomodo, per di più omosessuale: erano gli anni Settanta, una simile forma di aggressività non sarebbe stata sorprendente. Qualcuno ha voluto liberarsi di un testimone ingombrante: Pasolini stava scrivendo un romanzo, Petrolio, rimasto incompiuto. Doveva essere il grande racconto delle stragi: quelle della prima fase, anticomunista, e della seconda, antifascista, come lui stesso aveva profetizzato. Magari Pasolini non aveva accesso a nessuna carta segreta, ma qualcuno può averlo pensato, agendo di conseguenza.
La Commissione Antimafia è ovviamente scettica sulla possibilità di pervenire a una verità giudiziaria, visto il trascorrere del tempo. Sul piano storico è tutto un altro discorso: la ricerca della verità è un dovere assoluto.