La Lettura, 17 dicembre 2022
La capitale silenziosa
Via della Conciliazione è popolata solo da gabbiani affamati, sono rimasti senza i frammenti di cibo lasciati di solito dai turisti. Fontana di Trevi appare in tutta la sua abbagliante monumentalità, solitaria come mai si è vista. Ponte sant’Angelo restituisce una linearità che le decine di venditori ambulanti di solito cancellano. L’Eur svuotato sembra un plastico di storia dell’architettura razionalista. Campo de’ Fiori senza il mercato ricorda una ricostruzione artificiale di Cinecittà. Sono solo alcune scene di una Roma sottratta alla retorica da cartolina, ai luoghi comuni turistici, ritrovata grazie ai vuoti dell’emergenza Covid e fermata per sempre dagli splendidi scatti di Moreno Maggi, in attento equilibrio tra bianco-nero e un colore che suggerisce senza aggredire né enfatizzare.
È il racconto del libro fotografico Roma. Silenziosa bellezza, edito da Rizzoli per conto di Webuild (gruppo nato nel 2020 da Salini Impregilo, uno dei maggiori global player nella realizzazione di grandi infrastrutture complesse per la mobilità sostenibile, l’energia, l’acqua, edifici green). L’occasione era irripetibile: una città inedita, senza ingorghi di auto né resse umane, immortalata da Moreno Maggi nella primavera 2020. L’operazione che ruota intorno al volume è articolata: il libro, in vendita da marzo 2023, poi una mostra al Vittoriano, quindi un’altra tappa al Guggenheim di New York e in Australia. Una testimonianza di collaborazione, in ambito culturale, tra una grande istituzione museale e una importante impresa internazionale che ha la sua storica base a Roma. Soprattutto un’occasione per riflettere sul vuoto-pieno di una preziosa metropoli storica unica al mondo, sul concetto di città vivibile e in prospettiva ecosostenibile, sull’urbanistica come nodo essenziale della contemporaneità, quindi sull’ambiente e la sua tutela, sul ruolo delle infrastrutture sostenibili.
Nell’introduzione, Pietro Salini, Ceo di Webuild, sostiene: «Le immagini raccontano una struttura urbana vuota e hanno un valore estetico, ma sono soprattutto un’ispirazione per lavorare sul nostro futuro. Una ripresa durevole e solida, in una fase postCovid, passerà per un grande progetto infrastrutturale che sfrutti appieno le nostre migliori capacità costruttive e creative, per una transizione verso un modello di sviluppo diverso che abbia come obiettivo una nuova sostenibilità economica, sociale, ambientale».
Le foto di Moreno Maggi sono dunque la materia estetica e artistica di una riflessione su diversi piani. Scrive nel suo intervento il filosofo e psicoanalista Massimo Recalcati: «Lo aveva raccontato a suo modo Guido Morselli in Dissipatio H.G., dove H.G. sta per humani generis. Un romanzo visionario che inizia con la decisione del protagonista di togliersi la vita gettandosi in un laghetto sperduto. All’ultimo momento desiste però dal suo proposito. Al rientro nella città deve constatare con grande stupore la scomparsa totale degli esseri umani. Tutto si capovolge improvvisamente: mentre il suo desiderio iniziale era quello “fobantropofo” di sparire dal mondo, di abbandonare i suoi simili, deve ora registrare che è la vita degli altri a essere sparita con la conseguenza che è lui a sentirsi abbandonato». Dunque, argomenta Recalcati, «la città è stata restituita alla purezza minerale della sua semplice presenza... Niente rumori, niente suoni, niente fuochi di artificio, niente sguardi curiosi, niente chiacchiere, niente di niente. La bellezza della città ha ritrovato la sua radice di pietra. Per il tempo di una primavera abbiamo vissuto l’inaudita esperienza dello svuotamento e della desertificazione della città che solo nei sogni o negli incubi possiamo fare».
Naturalmente c’è la meraviglia dell’arte, e qui interviene Claudio Strinati che per le foto parla di «una sensazione analoga a quella che si avverte di fronte a certi quadri metafisici di Giorgio de Chirico, che il grande pittore stesso chiama le Piazze d’Italia, visioni di quiete solenne e magica sospensione del tempo, quando l’artista ebbe l’impressione di vedere il mondo come mai l’aveva percepito, pressoché deserto di presenze umane. In queste immagini realizzate a circa cento anni di distanza dall’esperienza dechirichiana, sembra di percepire lo stesso stato d’animo del Maestro, tuttavia gravato dal timore di una malattia pericolosa, invisibile, che ha costretto tutti a restare a casa».