il Fatto Quotidiano, 16 dicembre 2022
Questione morale: trent’anni persi
Prima di tutto, conviene ripescare una famosa foto della primavera del 2014, scattata al Nazareno, la sede nazionale del Partito democratico nel centro di Roma.
Si celebrava il 40 per cento dell’allora segretario Matteo Renzi alle elezioni europee. L’onda democrat nelle urne fece eleggere anche Antonio Panzeri. Le correnti del partito, nessuna esclusa, si unirono al trionfo renziano. C’erano tutti: Roberto Speranza, Debora Serracchiani, Lorenzo Guerini, Andrea Orlando, Luigi Zanda, Matteo Orfini, Marianna Madia, Dario Franceschini e così via. Ecco, sistemata la foto bene in mostra e in attesa di conoscere e capire le dimensioni dell’Eurotangentopoli di matrice italica e socialista – per il momento – passiamo ad affrontare l’ennesimo sequel (il centesimo? Il millesimo?) della telenovela intitolata “La questione morale a sinistra”. Quotidiani come Repubblica e La Stampa, un tempo mossi dall’entusiasmo anti-grillino per lo spregiudicato renzismo, tornano all’ipocrisia sermoneggiante e adesso chiedono al Pd di “rispondere sulla questione morale” e sul suo “rapporto col potere”.
Ancora?
È come se i trent’anni che ci separano da Mani Pulite e dalla fine della Prima Repubblica non fossero mai passati. Come se la sinistra, nonostante Berlusconi, il berlusconismo e berlusconiani, non avesse contribuito anch’essa a scambiare il garantismo per impunità e a ridurre la questione morale a esclusiva questione giudiziaria con la finta e strumentale contrapposizione tra il citato garantismo e il fatidico giustizialismo. Come se il Pd oggi non fosse al 15 per cento nei sondaggi, superato a sinistra da una forza come il M5S che è nata proprio sulla crisi del Pd, provocata dalla questione morale e dalla gestione del potere. Come se l’Italia, una volta Paese dall’affluenza record alle urne, non avesse il 40 per cento di astenuti alle ultime Politiche.
Per dire: lo stesso pezzo e lo stesso titolo La Stampa li fece nel 2008. Cambiava solo il nome del segretario del Pd: “Veltroni e la questione morale”, a proposito di un’eclatante inchiesta nella Napoli bassoliniana. Insomma, la questione morale a sinistra è nota da vari lustri e l’indignazione a scoppio ritardato per l’euroscandalo di Panzeri è appunto ipocrita e grottesca. Semmai bisognerebbe riflettere seriamente sulle cause di questa deriva progressiva del Pd che coinvolge tutte le varie fasi del partito: Veltroni, la ditta di D’Alema e Bersani, il renzismo soprattutto. La prima ragione è l’offensiva politica, giornalistica e intellettuale condotta proprio contro la questione morale denunciata da Enrico Berlinguer nell’intervista del 28 luglio 1981 a Eugenio Scalfari per Repubblica. A un certo punto della Seconda Repubblica, l’inciucismo e il governismo del centrosinistra mescolati con la modernizzazione della Terza Via blairiana hanno relegato quell’allarme strutturale di Berlinguer a invettiva moralistica e settaria figlia di una presunta superiorità morale. Un’operazione andata di pari passo con la rivalutazione postcomunista di Bettino Craxi. Invece la questione morale era ed è innanzitutto questione politica. Lo disse Stefano Rodotà nel dicembre del 2008: “Più che di scuse a Craxi, suggerirei al Pd di chiedere scusa a Berlinguer. Il tema della moralità pubblica è un grande tema politico ed è il fondamento capitale della politica. Segna un campo. (…). Ha preso il sopravvento l’idea che si dovesse essere ‘pragmatici’. (…). Parlare di moralità non è moralismo”. Nello stesso periodo, Gustavo Zagrebelsky individuava nelle “relazioni di potere”, nelle “clientele”, talvolta nelle “relazioni criminali e di malavita”, il processo degenerativo del Pd, in una fase in cui il partito era preda dei sindaci-cacicchi “scatenati”.
I due giuristi, Rodotà e Zagrebelsky, parlavano della questione morale in senso ampio, non schiacciandola su questa o quell’inchiesta giudiziaria. Andando cioè all’essenza dell’intervista più citata, ma meno letta dell’allora segretario del Pci: i partiti come macchine di potere e di clientele che hanno occupato lo Stato, con una “scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente”. Berlinguer parlò di “federazioni correnti, camarille e clan” e fece l’elenco dei ras della Dc regione per regione. Tra questi c’era anche Bisaglia del Veneto: chissà cosa direbbe oggi il povero Enrico vedendo il Pd non solo ridotto a una federazione di correnti come la Balena Bianca, ma costretto anche a candidare uno degli allievi prediletti di Bisaglia, Pier Ferdinando Casini, emblema del trasformismo partitico.
Che senso ha, allora, parlare di questione morale solo quando c’è un arresto e una montagna di banconote (caso Panzeri) si erge dinnanzi a una sinistra meravigliata e indignata come se fosse la prima volta? Nel 2004, Marco Travaglio fu al centro di veementi polemiche diessine per le sue frasi sulla merchant bank di D’Alema premier (copy Guido Rossi) entrata a Palazzo Chigi con “le pezze al culo” e uscita miliardaria. A chiusura dell’“inesistente caso Travaglio”, l’attuale direttore del Fatto scrisse, tra l’altro, sull’Unità del 18 gennaio 2004: “Qualcuno è disposto a pensare che la questione morale riguarda soltanto il centrodestra e si estinguerà quando Berlusconi & C. se ne andranno a casa?”.
Da allora sono trascorsi diciotto anni e nel frattempo non solo il Pd ha fatto di tutto per dimenticare Berlinguer e la questione morale, ma ha anche pilatescamente delegato alle sentenze il compito di selezionare la classe dirigente. È la solfa del garantismo invocato come la Madonna di Pompei, che ha sospinto la questione morale nel solo perimetro giudiziario. Cioè: un politico può anche prendere soldi, raccomandare amici e parenti, dispensare consulenze, fare spartizioni di poltrone, ricevere regali, accompagnarsi a boss e gregari mafiosi, come sovente emerge dalle inchieste giudiziarie, ma se alla fine viene assolto, tutto sparisce ed egli ritorna una risorsa del partito. Disse l’ex capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro in un’intervista del 2008: “Sono contro gli scandali e le rivendicazioni di giustizia sommaria, ma se si vuole fare in modo che etica e politica procedano assieme non ci si deve limitare ai soli cerotti. Non se c’è di mezzo la comunità, la res publica. Quando si ha certezza di abusi e scorrettezze, non resta altra scelta che far uscire di scena i responsabili. E questo, indipendentemente dalle certezze giuridiche. Un partito sa quando un suo dirigente opera bene o male, e non si deve muovere soltanto in applicazione di sentenze dei magistrati. Non deve affidare ai giudici il compito di fare pulizia”. Sono decine gli esempi che si potrebbero fare, all’interno del Pd, sulla mancata pulizia della classe dirigente. Ma guardiamo al presente e al futuro più che al passato. Due esempi correnti, che riguardano i due principali competitori alla guida del derelitto Pd: Stefano Bonaccini ed Elly Schlein. Sul caso Panzeri, il primo si è esposto in maniera impegnativa: “Non basta dire la magistratura faccia piena luce: la questione morale è la priorità”. Bene. Bonaccini applichi la questione morale modello Berlinguer al sistema di potere in Campania del suo sostenitore Vincenzo De Luca, compreso il familismo stile nordcoreano. Idem Schlein, che promette: “Non mi siederò con i capibastone a trattare”. E il Pd del Lazio di Nicola Zingaretti e della consorte di Franceschini, la neodeputata Michela Di Biase, che la voterà alle primarie? Basta leggere le ultime cronache sullo stipendificio dem alla Regione oppure rammentare l’‘inginocchiati o sparo’ di Albino Ruberti, ex capo di gabinetto di Roberto Gualtieri, sindaco di Roma, e marito di una futura candidata al consiglio regionale. Tutto ciò rientra nella questione morale o bisogna aspettare la prossima inchiesta giudiziaria?