La Stampa, 16 dicembre 2022
Sostenere Pereira
Sono contenta che Nicola Lagioia abbia deciso di ripubblicare per le edizioni del Salone Internazionale del Libro di Torino il bellissimo romanzo di Tabucchi, Sostiene Pereira. Un tuffo nel passato e un tuffo nel felice piacere del narrare. A me i suoi libri mi hanno fatto sempre pensare a spartiti musicali. Sono convinta che ogni vero scrittore sviluppi nel cuore della sua scrittura una piccola struttura musicale ed è quella che comunica le emozioni al lettore. La trama può avvincere e persuadere, ma ciò che ci incanta col suo misterioso ritmo melodico è lo stile e Tabucchi era dotato di questo incanto.
Ci sono nelle sue pagine dei leitmotiv che tornano ossessivi, proprio come nelle meravigliose sonate di uno Schumann o di un Vivaldi. La prima è la frase ricorrente: «Sostiene Pereira». Ma a chi racconta le sue vicende l’uomo grasso e pigro? Chi è che porge l’orecchio alla voce narrante di Pereira? Non è dato saperlo, ma non ha importanza, importante è l’immediata creazione di una cadenza narrativa in cui le parole dell’autore si ripetono all’infinito con una eco morbida e allusiva. Poi vengono, insistite e ritmate, alcune azioni del protagonista: la limonata con tanto zucchero che il medico gli proibisce ma che lui continuerà a bere nonostante i pericoli per la salute. E poi il suo confidarsi col ritratto della moglie morta. Un dialogo immaginario che ci dà la temperatura febbrile e pur pacata del torpido e anonimo Pereira.
Accanto a lui, anzi diremmo di fronte a lui, si profila un altro personaggio inquietante, anche se più prevedibile dell’interlocutore perché chiuso nelle sue verità e nelle sue certezze: Monteiro Rossi, sempre affamato e bisognoso di protezione e di soldi. Pereira, che si occupa delle pagine culturali del giornale Lisboa, lo giudica uno sciagurato che si mette nei pasticci perché si occupa di politica, ma pure non riesce a staccarsene. Lo prende come aiuto per comporre i necrologi sul giornale e, nonostante il fatto che Monteiro finisca per scrivere sempre e solo di scrittori impegnati e quindi non pubblicabili su un giornale fedele al governo, si sente attratto dal giovane, dalle sue idee che pur condanna, dal suo comportamento di resistente.
Il temerario, impacciato Monteiro, e Marta, la fidanzata che cambia continuamente colore di capelli, che parla sboccato e si comporta come una adolescente strafottente, lo incuriosiscono. Il suo giudizio è negativo ma non riesce a essere sprezzante. In lui qualcosa comincia a maturare.
L’insofferenza sempre soffocata verso le norme tiranniche comincia a trasformarsi lentamente in una partecipazione ingenua e riluttante. Anche il carattere più pacifico e accomodante è preso da moti di insofferenza di fronte alla arrogante prepotenza di un potere sociale e culturale basato sull’intolleranza e l’abuso…
I temi che saltano fuori come dai languidi Adagi invitano al pensiero profondo: un uomo colto e dalle ambizioni letterarie, un cittadino portoghese che scrive su un giornale fedele a un regime dittatoriale quanto deve censurarsi per mantenere il suo posto? E quanto questa tattica può umiliarlo e renderlo nemico di se stesso? La menzogna quotidiana non tende a trasformarsi in un veleno che intossica? E per quanto tempo si riesce a evitare le menzogne dichiarandosi estraneo alla politica, rifiutando di vedere le ingiustizie compiute nel Paese, mantenendosi volutamente nel limbo di un prudente anonimato? Sono domande che gli intellettuali sono costrette a porsi quando nel Paese in cui vivono vince una politica contraria alla democrazia e insofferente di ogni pensiero critico.
Ci sono anche gli improvvisi Allegretti con brio: la messa in scena di agili e veloci dialoghi che oscillano fra una esibizione di intelligenza speculativa e la voglia di conoscere l’altro da sé nei suoi meandri più segreti.
Curioso un pensiero che arriva come un inaspettato e giocoso Legato: la nostalgia del pentimento. Di che si tratta? «Io non mi sento colpevole di niente di speciale», dichiara Pereira all’amico psicologo Cardoso, «eppure ho desiderio di pentirmi, sento nostalgia del pentimento.» Ma che significa?
«Ebbene», sostiene Pereira, «è una sensazione strana, che sta alla periferia della mia personalità ed è per questo che io la chiamo limitrofa». Ingegnoso e fuggevole, come sono a volte i Legati in musica.
«Nella musica Legato significa collegare ogni nota dolcemente senza molta articolazione tra le note»: definizione che si adatta perfettamente a queste concise riflessioni sullo stato d’animo dell’oblomoviano protagonista.
Ma poiché molti non sanno chi sia Oblomov, l’autore mette in bocca al suo personaggio la spiegazione dell’inaspettato Legato: «Il fatto è che da una parte io sono contento di avere fatto la vita che ho fatto, sono contento di avere fatto i miei studi a Coimbra, di avere sposato una donna malata che ha passato la sua vita nei sanatori, di avere tenuto la cronaca nera per tanti anni in un grande giornale, e ora di avere accettato di dirigere la pagina culturale di questo modesto giornale del pomeriggio, però, nello stesso tempo, è come se avessi voglia di pentirmi della mia vita».
In effetti, da questo larvale desiderio di pentimento verrà fuori la farfalla della dolorosa libertà. «Ma c’è un evento che l’ha scossa, qualcosa che l’ha turbata?», chiede Cardoso e Pereira risponde che probabilmente è stata la conoscenza dei due giovani disobbedienti, Monteiro e Marta, a suscitare nel suo cuore un fermento che non si aspettava.
E Cardoso, con la tranquilla sicurezza di uno strizzacervelli, gli rivela quello che pensa sull’inconscio: noi tutti disponiamo di una confederazione di anime che agiscono nel profondo. C’è però una anima egemone che dirige le altre anime. E certamente lui, il modesto e confuso piccolo giornalista di provincia, sta per trasformarsi in un quasi eroe. Ma lo farà solo se darà retta alla nuova anima egemone.
Strano contraddittorio scrittore, il nostro Tabucchi, così attratto dal mistero e dall’indicibile – di qui il suo amore per Pessoa – e nello stesso tempo così attento ai mali del suo tempo, così pronto a indignarsi, così ansioso di partecipare, di costruire nuovi mondi. Ma questa contraddittorietà appartiene al nostro tempo, esprime un dubbio esistenziale che Tabucchi ha raccontato meglio di tanti altri: consapevole come era, fino allo spasimo, dell’artificialità della scrittura: «Il poeta è un fingitore / finge così completamente / da arrivare a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente». Sono parole di Pessoa, che Tabucchi condivide, profondamente fiducioso nella potenza provocatoria di questa splendida artificialità. —