la Repubblica, 16 dicembre 2022
Meloni vuole licenziare il super tecnico Rivera
Roma e Giovanni Pons, MilanoIl nuovo anno si avvicina e, una volta superato lo scoglio dell’approvazione della legge di Bilancio, il governo Meloni comincerà a pensare seriamente all’innesto di propri uomini nei gangli del potere economico del paese. Lo spoils system, il meccanismo in base al quale gli alti dirigenti della Pubblica amministrazione restano in carica finché è in sella il soggetto politico che ha vinto le elezioni, e vengono “destituiti” al momento in cui cessa il suo mandato, ha come scadenza il 26 gennaio. E dunque, entro quella data, al Mef devono per esempio decidere se confermare o destituire il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera. Il quale, secondo indiscrezioni sempre più accreditate, sarebbe entrato nel mirino della premier Giorgia Meloni che sull’abbrivio, a stretto giro, magari appena prima dei rinnovi delle partecipate pubbliche tra aprile e maggio, vorrebbe sostituire anche l’ad della Cassa Depositi e Prestiti Dario Scannapieco.
Giri di poltrone ai massimi livelli, che però si devono giocare su diversi tavoli e dunque dall’esito incerto. Per esempio l’ultima parola su Rivera spetta al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che se fosse solo per lui verrebbe confermato. Ma agli occhi della premier non è piaciuta la gestione dei dossier Autostrade e Ita da parte del direttore generale. Inoltre il cambio di Rivera è ritenuto «necessario» per dare più slancio a un’azione, quella in capo al direttore generale, ritenuta «troppo burocratica».Giorgetti invece se lo vorrebbetenere stretto: sia perché da diversi anni Rivera cura tutta la preparazione dei vertici internazionali, ritenuta molto importante, attraverso la quale ha acquisito autorevolezza conquistandosi i galloni sul campo; sia perché il ministro leghista ha un forte trait d’union con Giuseppe Guzzetti, il gran patron delle Fondazioni ex bancarie, che per molti anni ha dialogato con Rivera quando questi era a capo della Direzione VI del Tesoro, quella che vigila sulle Fondazioni. Ed èproprio grazie alla moral suasion su questi enti che il direttore generale è riuscito a chiudere, non senza patemi d’animo, il recente aumento di capitale del Monte dei Paschi, l’istituto da anni considerato la spina nel fianco del Mef. Ma proprio per tutti questi motivi Meloni e i suoi più stretti collaboratori considerano Rivera un bastione della sinistra all’interno del ministero che, se possibile, andrebbe abbattuto.
L’altra posizione entrata nel mirino di palazzo Chigi è la guida operativa di Cdp, che permetterebbe di avere un braccio operativo da indirizzare verso le grandi partite industriali del Paese con l’intento di salvaguardare maggiormente l’interesse nazionale.
La gestione di Scannapieco sicuramente non va in questa direzione, come dimostra il fatto di aver insistito fino all’ultimo su un’offerta per la rete Tim in accordo con i francesi di Vivendi: un comportamento giudicato alla stregua di uno «sgarbo istituzionale». Neppure l’allineamento dell’ultima ora è stato sufficiente a ricucire, la questione è rimasta sul tavolo e ora l’intenzione è quella di chiuderla anche se c’è prudenza sui tempi: cambiare ora una casella sensibile, spiegano fonti di governo, «sarebbe come gettare fuoco sulla benzina».
A Palazzo Chigi e non solo però l’irritazione è crescente. Al Tesoro più di un dirigente ha espresso preoccupazione per la decisione di Scannapieco di irrobustire l’area business di Cdp con personale proveniente dalla Bei. La modalità scelta, un distacco di due anni, aprirebbe seri problemi per la Cassa al termine del biennio, perché si verrebbe a creare un buco in un’area delicata per l’equilibrio del gruppo.
La Bei è anche al centro di movimenti che Scannapieco avrebbe già iniziato ad attivare pensando a un possibile ritorno, questa volta in qualità di presidente. Le radici piantate in Lussemburgo durante il suo lungo mandato (2007-2021) ora potrebbero portarlo a prendere il posto del tedesco Werner Hoyer, il cui secondo mandato scade l’anno prossimo.
I prossimi sei mesi saranno dunque cruciali per capire come il nuovo governo vorrà muoversi sul delicato terreno dell’occupazione del potere. Sul piatto dello spoils system ci sono anche le agenzie delle Entrate, dei Monopoli, del Demanio e poi si arriverà alla grande tornata delle partecipate pubbliche: Eni, Enel, Leonardo, Terna, Poste. Un vero e proprio banco di prova.