la Repubblica, 16 dicembre 2022
Attraversare il Passo della morte
«Segui le briciole lungo il cammino». Come Pollicino. Sono sparse sul sentiero che dal paesino di Grimaldi s’inerpica nel bosco fino alla rocca Giralda, lassù. Il Passo della Morte. Dove una griglia in fil di ferro arrugginito segna il confine tra Italia e Francia. Jeans, ciabatte, maglioni, spazzolini da denti, giocattoli, trolley, bottiglie di plastica. Le briciole. Quello che non è più necessario e pesa, intralcia, in un’ora di dura salita che si fa sempre più impervia. Servono le mani libere, essere leggeri. Ci sono punti dove devi aggrapparti a una corda per arrampicarti, altri che scivoli nel fango – quanta pioggia e nevischio, in questi giorni – e afferri ciuffi di rosmarino, schivi i rami dei pini.
Ogni volta che c’è un ostacolo più complicato da superare, qualcuno abbandona qualcosa. Una tuta da ginnastica. Un tubino nero con inserti in metallo dorato. Un pallone verde, un pigiamino da bimbo. Un Corano, un rosario. In cima, hanno aperto un grande buco nella griglia: ci arrivi sudato fradicio, pure se si muore di freddo. Ancora venti passi, e là sotto ecco l’elegante Mentone. Più lontano si intravvede Nizza. Sembra un miraggio.
Ogni giorno – soprattutto la notte, alla luce dei telefonini – un centinaio di migranti, comprese intere famiglie, affronta di nascosto questo percorso. Il numero è aumentato dal mese passato, quando il governo transalpino dopo il caso della Ocean Viking ha rinforzato i controlli di frontiera con 400 gendarmi e agenti.
Tra Liguria e Francia, in pochi chilometri sei valichi: Ponte San Ludovico e San Luigi, l’Olivetta e il Fanghetto; poi l’autostrada e la ferrovia. Tutti blindati. Non resta che il Passo della Morte, secolare segreto dei contrabbandieri: durante il fascismo ci sono transitati migliaia di ebrei e dissidenti, anche Sandro Pertini. Nel dopoguerra, gli jugoslavi. È allora che ha preso questo brutto nome, perché tra il 1945 e il 1955 circa 150 persone sono morte precipitando dalla rocca, tradite dal buio: «Si emozionavano, vedendo le luci della Costa Azzurra. Pensavano di avercela fatta e scendevano subito a valle. Troppo pericoloso». Enzo Barnabà, storico del luogo, conosce ogni centimetro di questo cammino. Insieme ad altri volontari ha chiuso con dei massi il sentiero nel punto in cui si fa più rischioso. Negli ultimi anni, solo un migrante è precipitato. Altri due sono stati soccorsi con un elicottero. «Ora passano più a nord: allungano di diversi chilometri, ma cosa volete che sia per questa gente?».
Dall’altra parte della frontiera, la polizia francese pattuglia le strade asfaltate a ridosso delle piste sterrate, usa i militari della Legione straniera. «Meglio continuare per le montagne», ripete Enzo. Nell’oscurità, seguendo mappe disegnate a mano: si prende per il Plan du Lion, verso il paesino di Castellaro – state ai margini, guaiad attraversarlo! –, dopo qualche ora c’è una piccola stazione ferroviaria, niente controlli. Il primo treno passa alle 5 del mattino: ci vogliono 30 minuti per arrivare a Nizza. E 10 ore per raggiungere Parigi.
Ventimiglia è l’imbuto del popolo migrante che dall’Italia vuole andare in Francia e poi nel resto d’Europa. In un anno, Caritas Intemelia soccorre 15.000 persone. La stima complessiva è circa il triplo: 40.000 transitano di qui e tentano di passare. I gendarmi francesi ne respingono ogni giorno un centinaio. Ci riprovano subito. Si affidano a passeur, in genere di origine maghrebina: «Con 150 euro ti garantiscono di andare al di là del confine, ma spesso li abbandonano, li derubano» spiega Jacopo Colomba, di WeWorld Onlus.
A mezzogiorno, lungo il sentiero spuntano tre ragazzi tunisini, uno del Ghana, due sudanesi. Wael e Jallili mostrano i fogli di respingimento dalla frontiera, rilasciati solo due ore prima dalla polizia. «Ci hanno preso ieri sera, a Mentone». Avevano già affrontato il cammino per il Passo della Morte, però dopo pochi minuti hanno preferito deviare, raggiungendo il ponte dell’autostrada che corre sotto. «E a piedi siamo arrivati in Francia». Camminando con le auto che ti sfiorano di centimetri. «Che problema c’è?». Negli ultimi anni, tre migranti sono stati travolti e uccisi. Due ragazze eritree sono precipitate del Ponte del Passo: una è morta, l’altra è rimasta tetraplegica. «Questa volta, niente autostrada», promette Wael. «Giuro: in un modo o nell’altro, ce la faremo». Buona fortuna. In serata manda una fotografia col cellulare: è già arrivato a Tolone. E poco dopo, un video: «Sono in viaggio, direzione Belgio!».
Filippo Lombardo, pensionato: con la moglie Loredana e il Gruppo Scuola di Pace distribuisce cibo ai migranti accampati a Ventimiglia, lungo il fiume Roja. «Abbiamo deciso di dare un mano nell’agosto del 2020, quando hanno chiuso il centro della Croce Rossa che ospitava circa 700 persone». Nella sua casa di Ventimiglia Alta accoglie diversi migranti. «I più fragili, indifesi. Per tutto il tempo che serve». Vicino alla stufa accesa sta dormendo Sergine, una ragazzina ivoriana di 15 anni. «I francesi l’hanno fermata: per legge dovevano occuparsi di lei, è una minore. Invece la polizia l’ha spintonata al di là del confine. Come un animale. Sola, di notte». Quante persone avranno dormito da Filippo, in questi anni? «Quattro o cinquecento», sorride sereno. «Le cose sono peggiorate, col governo italiano che fa il braccio di ferro. E noi non possiamo restare inerti, di fronte a tanta ingiustizia». Ha deciso di diventare anche lui un passeur. Solidale. «All’inizio sono sospettosi, perché non chiedo soldi. Poi diventiamo amici, fratelli. Mostro il cammino e dico loro: seguite le briciole».