Corriere della Sera, 16 dicembre 2022
Gli artisti non assomiglino all’idea che ci siamo fatti di loro
Per chi non lo sapesse (ma chi non lo sa?) Cristina D’Avena è la voce delle sigle dei cartoni animati con cui sono cresciute un paio di generazioni che a vent’anni se ne vergognarono e dopo i quaranta cominciarono a ricordarle con nostalgia. Tra un puffo e l’altro, la D’Avena ha sostenuto le campagne lgbtqia+, diventandone una colonna sonora. Ed è proprio da quella comunità che è salita in queste ore un’onda di delusione che i social hanno trasformato in ripulsa quando si è scoperto che la cantante avrebbe portato i puffi sul palco della festa di Fratelli d’Italia. Pazienza scoprire che non è Soumahoro tutto quello che luccica, e che tra i progressisti dell’Europarlamento c’è chi si tuffa con voluttà nelle banconote degli emiri reazionari. Ma che Cristina D’Avena possa passare impunemente dal Gay Pride a una ninnananna per La Russa è stato ritenuto intollerabile.
Come uscirne? Forse accettando che gli artisti non assomiglino all’idea che ci siamo fatti di loro e lasciandoli liberi di cantare un po’ dove vogliono. La D’Avena ha detto giustamente che «la musica unisce, include e conforta». Esprime una potenza universale che sommerge qualsiasi polemicuccia. Perdonerete il cambio di scenario e di tono, ma ce lo ha appena ricordato un ragazzo iraniano, Majidreza Rahnavard, poco prima di essere messo a morte dai carnefici del regime: «Non piangete e non pregate per me. Voglio che suoniate musica allegra». Aveva gli occhi bendati, ma la voce calma e ispirata dei veri rivoluzionari.